di Giorgio Perlini
In molte case di noi nati negli anni Sessanta del secolo scorso ( lo so che detto così fa impressione ma tant’è ) era presente un’enciclopedia per ragazzi chiamata I Quindici. Il titolo poco altisonante voleva distaccarsi dai più pedanti Conoscere e didascalici Enciclopedia dei Ragazzi, e faceva semplice riferimento al numero dei volumi. Era rivolta ai più giovani, bambini più che ragazzi, anche se man mano che cresceva il numero del volume aumentava anche la difficoltà di lettura. Ciò che rendeva I Quindici decisamente accattivanti era l’apparato iconografico, realizzato da artisti diversissimi fra loro ma tutti abili e molto moderni. Perfino Dino Battaglia, Sergio Toppi, Karel Thole e Ferenc Pinter fecero parte della squadra, chiamati alla collaborazione nei contenuti appositamente studiati per il pubblico italiano, in quanto l’origine dell’enciclopedia era statunitense. Io la aprivo molto volentieri seppur non avessi voglia di leggere perché il richiamo delle figure era per me già allora come quello delle sirene (e certo rischiavo meno di Ulisse, al massimo il rimprovero di mia mamma perché “i libri si leggono, non basta sfogliarli!”). Andavo in visibilio per il volume “Fare e costruire” che forniva istruzioni per la realizzazione di giochi con pochi elementi reperibili nei cassetti di qualunque cucina, e anche per “La vita intorno a noi” dedicato alla fauna. Nell’eterogeneità di quegli animali tra il realistico e l’umanizzato spiccavano i disegni di un artista in grado di sintetizzare anche le strutture più complesse in forme geometriche elementari. Quella stilizzazione estrema mi è rimasta dentro per sempre, fornendo le basi per uno degli stili con cui disegno, quello che scelgo quando mi vengono chiesti lavori da grafico, o illustrazioni per bambini. Certo non ho mai raggiunto la bellezza del mio modello, e hai voglia a trovare giustificazioni con me stesso raccontandomi che ho sempre poco tempo da dedicare a certi lavori; il punto è che non ci riuscirò neanche in futuro perché quel modello si chiama Charley Harper.
Artista di levatura straordinaria Harper continua ad essere ignorato in Italia ma in patria è diventato una star, almeno nel settore, e nel 2007, in occasione della sua scomparsa, è stato celebrato con un volume di 420 pagine, oltre che con numerose raccolte delle sue tavole più disparate. Provare ad acquistare la prima edizione di un libro illustrato da Harper può significare sborsare parecchio denaro, e se il libro è The Giant Golden Book of Biology si arriva fino a 1000 euro ( ma non stiamo parlando di un classico d’inizio Novecento, stiamo parlando di un libro del 1961! ); vivere in un paese che ignora Harper può costituire allora una grande fortuna poiché l’edizione italiana del medesimo testo, il cui titolo è Meraviglie della vita, la si acquista a dir tanto con 10 euro. Trattasi di un libro splendido, con ben 200 disegni, per la cui realizzazione Harper impiegò un anno. Io ne ho due copie, trovate sulle bancarelle dei mercatini, e aspetto l’occasione giusta per regalarne una a qualche amico appassionato. Per quanto riguarda invece Animal Kingdom sotto ai trecento euro dell’originale è difficile scendere in quanto l’edizione italiana non esiste, forse proprio perché il precedente non fu subito un trionfo commerciale. Dopodiché, per far impazzire i collezionisti, c’è un fiorire di illustrazioni, manifesti, cartoline e stampe a tiratura limitata, ed è forse ancora poco per un quadro completo considerando che Harper si è dedicato anche a mosaici e pitture parietali.
Tutti voi, passando in primavera attraverso un bosco, respirando il profumo delle nuove foglie e dei fiori, o porgendo l’orecchio alle mille voci degli uccellini, degli insetti e delle altre creature che lo popolano, avrete certamente provato una indefinibile sensazione: quella di far parte di un mondo giovane come voi, forse perché ha la fantastica capacità di rinascere ad ogni primavera. Sono convinto che chi ha scritto queste righe di incipit della prefazione a Meraviglie della vita l’abbia fatto solo dopo aver visto le illustrazioni di Harper in quanto trattasi di parole che forniscono un calzante commento ai suoi disegni, così giovani appunto, ed intrisi di una certa fragranza. La storia di Harper, consentitemi il parallelo, assomiglia a quella di John Constable; è la storia del ragazzo che vive in campagna (West Virginia) a contatto stretto con la Natura. Suo padre è infatti un agricoltore e Charley dovrebbe aiutarlo nel negozio di mangimi, ma spesso trascorre il tempo ad inseguire le lepri, scavare buche per scovare gli insetti, guardare con la testa rivolta verso l’alto il volo degli uccelli. Poi, terminata la scuola a French Creek, dopo qualche esperimento pittorico da autodidatta la voglia di imparare a dipingere sul serio lo porta all’Accademia d’arte di Cincinnati. Interrompe il percorso dopo due anni per la chiamata alle armi e quando la guerra finisce riprende gli studi e si diploma. Inizia così una collaborazione con la rivista Ford Time che durerà circa trent’anni e lo renderà, attraverso illustrazioni di feste paesane, lavori tradizionali, vacanze tropicali, paesaggi rurali, flora e sopratutto fauna, un artista celebre ed originale.
I soggetti animalistici restano la parte preponderante della sua opera, e nella moltitudine delle illustrazioni eseguite, quella che l’artista stesso trova più significativa rappresenta degli insetti che galleggiano sull’acqua, chiamati idrometre, che lo incantavano da bambino.
L’osservazione del soggetto, sviluppata fin da piccolo, è sempre la prima fase del lavoro di Harper e quando egli non dispone fisicamente di un soggetto allora si procura delle fotografie che lo ritraggono in pose differenti. Comincia così la fase creativa di definizione di una forma che non sia solo basata sull’aspetto esteriore dell’animale ma che cerchi di coglierne anche il movimento, le abitudini, certe azioni specifiche. Giunto alla sagoma soddisfacente Harper la disegna su carta leggera in modo da poterla ricalcare sull’opera finale dopo aver dipinto lo sfondo. Procede poi con il riempire di colore anche le figure, con toni sempre ottenuti con mescole personali nonostante la gamma vastissima dei colori disponibili sul mercato, tempere o acrilici che siano (mi pare divertente riportare la notizia, appresa dall’intervista riportata nel suddetto librone, che l’artista per pulire i pennelli ha sempre usato uno stesso, vecchissimo, paio di pantaloni). Uno degli elementi distintivi delle sue opere è la ricercata piattezza. Le figure si separano per piani in virtù della sovrapposizione ed i chiaroscuri sono totalmente assenti. Nelle illustrazioni eseguite tra gli anni ‘50 e ‘60 si trovano anche elementi gestuali, segni veloci e sgranati per evocare magari il fuoco, oppure i flutti, le spighe ondeggianti. Personalmente sono le immagini che preferisco per freschezza e dinamismo. Successivamente si nota un’evoluzione sempre più geometrica e astratta che giunge fino al minimalismo degli ultimi pezzi, raffinatissimi e perfetti per la resa in serigrafia. Forse certe soluzioni ricordano Picasso, Klee e Kandinskij, ma il risultato di Harper è più leggero ed elegante e contemporaneamente possiede il calore delle cose familiari, anche quando i colori scelti sono freddi. L’anomalia della nettezza lucente di questi lavori sta nel coinvolgimento dello spettatore poiché, solitamente, chi dipinge con uno stile così calcolato veicola una certa algidità. Credo che il segreto sia nell’armonia: c’è, nelle opere di Harper, una misura classica nascosta sotto ad ogni geometria. L’immagine con la lotta tra dinosauri incolonnata a fianco dell’articolo è chiaramente esemplificativa di questo concetto.
Si potrebbe considerare Charley Harper come l’inventore delle forme di certa grafica computerizzata prima che i computer venissero usati per tale scopo, anzi in un’epoca in cui nessuno sospettava che potessero divenire strumenti d’arte, non per niente li si chiamava “calcolatori elettronici”. Sono convinto che se si sottopongono le immagini di Harper a chi non sa nulla dell’autore lo si indurrà a credere che sono immagini realizzate digitalmente. Ma gli strumenti del nostro sono invece riga e squadra, e una precisione estrema. Certo appare insolita la scelta di un artista così grafico e personale per illustrare dei testi di biologia, sebbene didattica. Eppure egli era uno dei pochi che potesse riuscire a mettere d’accordo adulti e bambini. Non dico l’unico perché qualcun altro in quegli anni si mosse in direzione analoga: vale la pena di ricordare almeno il cecoslovacco Miroslav Sasek per i piacevolissimi libri divulgativi di geografia turistica.
Lo splendore di Harper sta non solo nell’aver reso la complessità della biologia qualcosa di elementare agli occhi di un bambino ma nell’aver dotato ogni soggetto della caratteristica del divertimento, di quella piacevolezza che imparenta tutto con l’allegria del cartone animato, senza per questo dover ricorrere alla buffa umanizzazione dei soggetti, anzi lasciando loro un’aura di iconica sacralità.
The Giant Golden Book of Biology, G.Ames e R.Wyler, Random House, 1961, cartonato, in quarto.
Meraviglie della vita – introduzione alla biologia, G.Ames e R.Wyler, Mondadori, 1962, cartonato, in quarto.
Si segnalano inoltre:
The animal Kingdom, di George S. Fichter, Random Hause, 1968.
Birds and words, Frame Hause Gallery, 1974, cartonato (rarissimo e super ricercato, mai edito in Italia)
Charley Harper – An illustrated life, di Todd Oldham, 420 pagine in formato oblungo, Ammo Editore, 2007, 420 pagine in formato oblungo, cartonato (corposa panoramica di illustrazioni provenienti da tutte le pubblicazioni dell’artista).
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