A causa di una formazione umanistico-romantica maturata negli anni dell’Università, e che non rinnegherei neanche sotto tortura, ho la tendenza a sentirmi in colpa quando decido di dedicarmi ad opere che hanno a che fare con la civiltà dei consumi. Si dà il caso però, che alcune di queste opere siano state importanti nelle attività ludiche della mia infanzia e ad esse sono legati alcuni miei vivacissimi ricordi. Senza i cartoni animati di Carosello l’obbligo di andare a dormire subito dopo cena sarebbe stato vissuto come una traumatica prigionia, e non solo per me. Tutti coloro che videro Carosello sanno cosa costituì quel programma per l’Italia. Ma per fortuna hanno, con l’aiuto del tempo, posto un filtro adulto che li ha aiutati a superare il trauma della fine. Io invece quella fine l’ho sublimata contraendo il virus del collezionismo. E così, dopo due articoli dedicati ai disegni su carta per la produzione di cartoni animati Disney eccone uno che riguarda i disegni su celluloide, tutti per gli spot di Carosello. Il fatto che si passi da Disney agli Italiani costituisce un grosso cambiamento di stile nelle immagini proposte ma la modalità di lavoro è pressoché identica, dunque il discorso può proseguire in modo fluido per mostrare una ulteriore tappa di sviluppo, quella del disegno definitivo. Il perché del cambiamento è presto detto; una motivazione è quella precedentemente esposta e per la quale sembra non esistere una cura efficace, l’altra è costituita dall’abbordabilità del materiale italiano (1) rispetto a quello U.S.A., la qual cosa significa che la sindrome di cui sopra miete in America molte più vittime che in Italia. E sì che anche i celluloidi nostrani sono rari, in certi casi anche più degli altri, dato il minor numero di opere realizzate. Ma è ovvio che Biancaneve e Topolino diffondono il morbo collezionistico più rapidamente di quanto non riescano a fare l’Olandesina ed Angelino.
Ecco, confessato con la giustificazione della malattia il peccato di superficialità consumistica, procediamo con il perpetrarlo nell’approfondimento del discorso; in un cartone animato i disegni finali (2) debbono essere trasferiti dalla carta ad un supporto trasparente chiamato in vari modi, celluloide, da cui il diminutivo cel, acetato, lucido, rodovetro. Quest’ultimo vocabolo venne coniato dai fratelli Pagot – quelli di Calimero per intenderci – per indicare il materiale prodotto proprio da una delle ditte per le quali venivano creati degli spot, la Rhodia, (che era situata a Rho e produceva il rhodoid) da cui derivò appunto “rodovetro”, eliminando l’acca da quel posizionamento così poco consono nella lingua italiana. L’operazione avveniva tramite ricalco del disegno originale, successivamente ben ripassato in nero e poi colorato a campiture quasi sempre piatte per semplificare il lavoro. I contorni dovevano essere effettuati per primi poiché i colori non dovevano mai coprirli, neanche parzialmente, pena la leggibilità del disegno. Dunque tutte le operazioni erano eseguite sul retro del foglio trasparente mentre la faccia che veniva mostrata nel cartone animato era quella lucida e perfettamente liscia. Per evitare di invertire la destra con la sinistra si ribaltavano sul tavolo luminoso i fogli con i disegni originali, sempre di grammatura leggera e atti a far passare la luce, ecco dunque che il ricalco risultava corretto. Per quanto riguarda la tipologia dei colori usati sappiamo che dopo un breve arco di tempo in cui in gli Americani dipinsero i celluloidi a tempera ( poi mescolandoli con le colle viniliche per irrobustirli ) si passò agli acrilici, più tenaci ed elastici, e la tecnica divenne definitiva. Nelle produzioni italiane è frequente che i disegni su rodovetro siano in tonalità di grigio, poiché la destinazione era quella televisiva in un epoca in cui le trasmissioni erano in bianco e nero. In questo modo la modulazione dei toni era più diretta e l’effetto già visibile senza sorprese finali. Quando i rodovetri sono a colori è probabile che siano stati realizzati per spot che sarebbero giunti anche nelle sale cinematografiche. Capita che questi disegni non siano stati conservati in condizioni ottimali (ovvero basse temperature e umidità costante, non superiore al 50%) dunque risultano bombati a causa di un calore eccessivo o addirittura raggrinziti per l’emissione di acido acetico. Inoltre, per quanto l’acrilico sia un materiale duraturo, è frequente che i celluloidi siano parzialmente rovinati da distacco o caduta di colore; se la lacuna è marginale e di piccole dimensioni si può effettuare un intervento di integrazione ritoccando il disegno sul retro dopo aver ricreato la tinta necessaria. Se invece la perdita è vasta si può procedere in questo modo: si delimita un’area corrispondente a quella da riparare ma un po’ più estesa su di un nuovo foglio di acetato. La si dipinge del colore giusto e si sovrappone il rodovetro originario a quello nuovo facendoli corrispondere.
In questa sede vengono mostrati tre celluloidi originali di Carosello. Il primo viene dallo studio di Bruno Bozzetto, di cui riporta incollato un cartellino che funziona come marchio di fabbrica. Non si tratta di una vera firma, in quanto questi disegni definitivi, come già rilevato in altre occasioni, raramente venivano eseguiti dall’artista capo (il quale creava i personaggi e poi supervisionava il lavoro) e seguivano una sorta di catena di montaggio in cui le fasi del lavoro erano divise tra molti disegnatori, ognuno dei quali specializzato in una mansione. Bozzetto è una personalità che non richiede presentazione, piuttosto è interessante rivelare chi sia il personaggio disegnato; chi dispone di un sistema immunitario forte pur avendo avuto in tenera età un contatto visivo potrebbe non essere stato contagiato dal famoso morbo collezionistico e non ricordarsi il nome della signorina in questione: trattasi di Donna Rosa, testimonial per un carosello del 1965 delle caramelle Mental bianco ; l’opera è particolarmente interessante in quanto è un disegno per un fotogramma chiave di tutto il balletto dello spot, con la figura intera e di grandi dimensioni. Immagini “totali” come questa sono molto più ricercate di quelle che mostrano soggetti in inquadrature parziali o viste poco significative come può essere quella da dietro, magari determinante nell’economia del cartone animato ma poco appetibile se estratta dallo stesso e posta in una collezione. Il tratto grafico, morbido e duttile è in perfetta sintonia con l’immaginario collettivo della caramella. La fotografia che segue in sequenza la prima è relativa ad un disegno del medesimo balletto che arriva pochi istanti dopo, tanto che facendoli scorrere velocemente uno dietro l’altro si ricrea l’illusione del movimento.
Il secondo rodovetro è firmato da Gino Gavioli. Gavioli è meno celebre di Bozzetto ma è comunque una colonna portante del cartone animato italiano. Sono sue invenzioni Caio Gregorio (il guardiano del Pretorio), Taca Banda, Cimabue, e molti altri personaggi che hanno già fatto partire un jingle nella memoria di chi legge ( anche quelli non ammalati, probabili portatori sani ). La qual cosa costituisce – se ce fosse bisogno – una prova del fatto che la storia del cartone animato ha una tappa fondamentale proprio nei caroselli italiani. Il personaggio del disegno in questione è il Dottor Vero, testimonial del 1968 per le calze Malerba. La caratteristica che lo contraddistingueva era l’accento bolognese con l’intercalare “è vero”, da cui il nome. Da questo celluloide si ricava un’informazione importante per lo studio del lavoro di Gavioli: il disegno dei contorni del personaggio non è ad acrilico bensì una fotocopia effettuata direttamente sul foglio di acetato; lo si rileva al tatto sfiorando il celluloide sul davanti, mentre il colore è steso sul retro ( la foto del rovescio del rodovetro evidenzia il debordare del colore sui margini del disegno). Dunque alla Gamma Film di Gavioli si seguiva l’innovativo metodo introdotto dalla Disney con La carica dei 101 (1961) per mantenere intatta la freschezza del tratto a matita, spontaneo, dallo spessore non compatto e a volte aperto ai margini. Il ricalco manuale del disegno, oltre che lento e complesso nel mantenimento di un segno uniforme, comportava necessariamente un irrigidimento dell’opera con il rischio di sminuire il valore del lavoro di animatori molto bravi. Il passaggio alla macchina Xerox che consentiva di fotocopiare anche su superfici non cartacee fu determinate per la riuscita dei cartoni disegnati con nuove tendenze; e cioè quelli che, contro l’egemonia stilistica americana tutta morbidezze e gommosità, esibivano spigoli e riduzioni alle forme elementari, oltre ad una semplificazione estrema e ripetitiva del movimento dei personaggi che in Italia venne battezzata “animazione limitata”. Anche i fondali subirono un analogo processo di stilizzazione e divennero a colori piatti e stesi volutamente oltre i contorni del disegno. Questo modo di fare cartoni animati, a volte definito anche “stile UPA” (acronimo di United Production of America, studio operativo tra gli anni Quaranta e Settanta, che raccoglieva molti ex animatori Disney insoddisfatti e di cui Mr. Magoo è la creazione più celebre) era decisamente originale e molto espressivo, pieno di libertà rispetto ai modelli classici. Se da un lato tale stile fu per i disegnatori italiani di Carosello una fonte da cui attingere pienamente, dall’altro fu proprio la Gamma Film di Gino Gavioli a fornire modelli al gusto americano, portando l’Italia ad una posizione di forte rilievo nel campo (3).
Con stilizzazione ancora maggiore è stato eseguito il terzo disegno. Il personaggio è celeberrimo, uno degli indimenticabili di Carosello: il vigile Concilia, ancora di Gavioli. Creato nel 1959 per reclamizzare il Brodo Lombardi resistette fino al 1965 per un totale di 110 episodi. Squadrato come la scatola del brodo e come il suo fare nell’applicazione delle regole stradali, il vigile – che parlava con calzato accento siciliano – si scontrava con indisciplinati “foresti” del nord Italia, ribaltando così un noto luogo comune. Emergevano una didattica allegra della segnaletica, uno sguardo critico sui pericoli del traffico, una denuncia delle cattive abitudini degli automobilisti. La voce era quella di Alighiero Noschese ed il personaggio anticipava di un anno l’arrivo sul grande schermo del vigile urbano interpretato da Alberto Sordi. Le similitudini tra i due erano evidenti nel modus operandi ma anche nell’estetica, in particolare nel casco da motociclista. Nei primi cartoni infatti questo era grigio con una fascia bianca e risulta in scala di grigi anche in certi celluloidi originali. Probabilmente per meglio distinguere gli occhialoni venne successivamente disegnato con il casco bianco scurendo la fascia, che come evidenzia il disegno, divenne celeste, tonalità ovviamente invisibile nella televisione dell’epoca. Le varie realizzazioni tridimensionali del personaggio prodotte negli anni ( e spesso spacciate come pezzi d’epoca ) hanno proposto colorazioni sempre diverse poiché i caroselli in bianco e nero lasciavano una certa libertà di interpretazione. La versione uscita in edicola circa un anno fa nella serie Gli indimenticabili di Carosello è forse quella più fedele all’originale, per i colori ma anche per la resa volumetrica, niente affatto semplice da rendere, si pensi per esempio alla fragilità delle gambe sottilissime. A differenza del celluloide precedente, in questo il disegno è tutto realizzato a pennello, come era prassi fino alla metà degli anni Sessanta. Certo, un lavoro da artigiani specializzati che producevano opere pop per questioni di consumo; sicuramente un’arte figlia adottiva ma vivace, divertente, e rivolta ai bambini in un modo intelligente. Di fronte a certe immagini come si può guarire dal famigerato morbo? Nel mio caso una possibile cura potrebbe essere il reperimento di un rodovetro del primo cartone in assoluto di Carosello, e cioè Angelino della Super Trim disegnato nel 1958 da Paul Campani (4) e seguito a breve distanza da l’Omino coi baffi della Bialetti . Ma non ne sarei così sicuro, esistono ricadute più pesanti della malattia d’origine.
1) Si parla comunque di opere che, quando firmate da autori noti, hanno un valore che raramente scende al di sotto dei 150 Euro e raggiunge la media dei 300 per i pezzi più importanti. E stiamo parlando dei singoli disegni con personaggio, escludendo ogni tavola che mostri un fondale. Nel caso in cui si disponga di una coppia autentica ( celluloide sovrapposto allo sfondo su cartoncino) il valore può salire oltre il doppio.
2) Sulla procedura tecnica per la realizzazione dei disegni di un cartone animato – e relativo collezionismo – si possono leggere gli articoli Sui disegni di produzione Disney e Ancora qualche nota sui disegni di produzione Disney in questa stessa sezione del sito.
3) I rapporti tra la ditta di Disney e quella di Gavioli sono noti e documentati.
4) Per un approfondimento sulla figura di Paul Campani si veda: Il più bel libro (non) di Guareschi nella sezione Grammatura leggera del sito.
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