Ci sono opere d’arte, nel nostro caso libri, che riescono nella controversa operazione di rappresentare al meglio l’originalità dell’autore ed al contempo distillare lo spirito del tempo restituendo intatte ad un fruitore preparato tendenze, filosofie, sensibilità. La riuscita è tanto più difficile se la personalità dell’artista è spiccata e le mode dell’epoca molteplici e perfino distanti. Sibilla è il libro d’artista perfetto degli anni Venti, capolavoro dell’editoria italiana fortemente voluto, annunciato e celebrato dall’editore dell’Eroica Ettore Cozzani e dal poliedrico Giulio Aristide Sartorio, per l’occasione autore completo di immagini e testo. Sartorio è noto per il fregio di Montecitorio, un colossale dipinto ad encausto, eseguito a partire dal 1908, che si srotola per tutta l’aula superando i cento metri di lunghezza e racconta in modo mitologico la Storia dell’Italia ed in qualche modo dell’intera umanità. La produzione artistica di Sartorio, che comprende anche scultura e cinema, osannata dal Fascismo e volutamente dimenticata nel dopoguerra con la solita accusa della retorica, contempla questo volume strepitoso, il cui lavoro venne sviluppato per circa un decennio e finalmente edito nel 1922. Il mito dell’oracolo sibillino fonde qui la tradizione romana con i racconti francesi ed italiani del Quattrocento (Le Paradis de la Reine Sibylle di Antoine de La Sale ed Il Guerrin Meschino di Andrea da Barberino) e con quelli tedeschi rielaborati da Wagner nel Tannhauser, collocando definitivamente la vicenda in una grotta dei monti Sibillini nei pressi del lago di Pilato sopra Foce di Montemonaco, in provincia di Ascoli Piceno. L’italianità geografica è ribadita nel corso della storia sia nel testo che nelle immagini, in cui ricorrono citazioni latine, scorci romani, archeologie classiche. La narrazione inizia con una balia, di nome Malia, che per intrattenere la piccola Angiola intona una cantilena a sua volta ascoltata da bambina ed ora ricordata solo parzialmente – dunque la tematica del tempo passato è fondante – in cui Lionello, cavaliere cardinale e figlio di un Re, giunto sulle rive del lago proprio in corrispondenza della settimana santa, quando i maghi vi compiono i loro incantesimi, per scampare ad un improvviso temporale si rifugia con lo scudiero in una caverna, pur messo in guardia dall’ammonimento di un eremita. Lionello affronta e sconfigge creature mostruose per entrare e giungere al cospetto di Sibilla che lo ammalia e lo inebria, di bellezze e passione. E parte così la discesa verso un inferno mascherato da paradiso da cui il cavaliere, una volta tornato alla saggezza, farà molta fatica a riemergere. Per riuscire si renderà necessario l’intervento divino. Dopodiché il cavaliere, recatosi a Roma per chiedere perdono al Papa, compirà a sua volta un gesto miracoloso riuscendo a convertire Sibilla al Cristianesimo e condurla a nozze. Il misterioso viaggio di Lionello è iniziatico, una caduta nel vizio ed un ritorno alla virtù, una discesa nel peccato ed una redenzione operata dal perdono di fronte al ravvedimento. Magia (1) e misticismo si mescolano in una prosa (che contempla anche parti rimate o comunque in versi) prettamente dannunziana (2) con altri spunti non solo letterari (Cicerone “animula vagula”, a pag.111, Ariosto “del domani, lo sò, non v’è certezza” a pag.119, formule estrapolate dalle liturgie religiose “Salve Regina eterna” a pag.85) ma anche pittorici (esemplare a pag. 95 “le donzelle (…) sotto al sole assai più belle fatte madri!” chiara suggestione suscitata dal ciclo di dipinti di Giovanni Segantini sulle cattive e buone madri). Il testo non è composto con caratteri tipografici bensì vergato a mano inventando una calligrafia che si adattasse alle illustrazioni, che sono ben cento e si completano con i fregi. Anche gli spazi bianchi sono inseriti calcolando bilanciamenti ed armonie nel tentativo, ben riuscito di creare un libro-oggetto dal valore artistico altissimo. Ed anche il prezzo dell’epoca, 375 lire, indicava l’acquisto come un investimento (3). La tiratura fu di 1333 copie, poi si procedette onestamente alla distruzione delle matrici così da assicurare che non ne sarebbero mai stampate più. L’operazione, come qualcuno ha già rilevato (4), prende esempio dalla Kemlscott Press di William Morris, nome ricorrente nelle ispirazioni attribuite a Sartorio insieme a quello di Dante Gabriel Rossetti (la sibilla ricalca le fattezze di Astarte), sul quale l’artista scrisse anche un saggio. Ma sfogliando le pagine incantate di Sibilla ci si trova invischiati in ben più numerosi rimandi, non sempre facili da cogliere. Evidente l’omaggio a Duilio Cambellotti, non solo nelle illustrazioni per La Nave di D’annunzio, ma anche nelle sagome femminili longilinee fino alla trasparenza, somigliantissime a quelle di Cambellotti per La siepe di Smeraldo, scritta dallo stesso Cozzani e pubblicata giusto due anni prima, come pure quello a Gustav Klimt ed ai suoi flussi acquatici nella tavola ultima, proprio sotto alla parola “Fine”. Altrettanto smaccati ma mai riconosciuti data la scarsa conoscenza di certi autori in Italia l’omaggio agli acquerelli di Edmond Dulac (che forse aveva osservato dal vero a Londra e che comunque Vittorio Pica aveva presentato agli intellettuali italiani tramite la rivista Emporium) per le poesie di Edgar Allan Poe (le due immagini con la cattedrale gotica e quella con la maga che tiene al guinzaglio la belva la dicono lunga) e quello a Frantisek Kupka nella sua interpretazione del Cantique des Cantiques qui est su Salomon. Poi ancora omaggi a Franz Von Stuck nell’incisione con la donna serpente, a Guido Marussig nell’immagine con l’incendio, a Gaetano Previati, nella tavola buia con i corpi abbandonati che si rifà a Gli ostaggi di Crema. Insomma il libro in parte rivela ed in parte nasconde un compendio di cultura tra Decadentismo, Simbolismo e Secessionismo, epurati dalla connotazione macabra, gli scheletri soppiantati da corpi sdraiati ed i mostri sostituiti da belve. Un libro che stordisce (Gabriele D’Annunzio, certo, ma anche Gustave Moreau) nonostante la scelta monocromatica del nero, in verità nerissimo, lucido come un bucchero etrusco. Per raggiungere questo effetto la tradizionale tecnica xilografica tanto esaltata dall’Eroica viene perfezionata (5) trasformandosi in incisione su zinco così da riuscire ad eseguire perfettamente, una per una, tutte le lettere del testo. La scavo delle lastre è effettuato con acido ed in certi casi ritoccato col bulino. Il segno è fluido e continuo, l’impressione finale quella di immagini costituite da un nero che divora il bianco ed invade lo spazio della luce. Ciò che nessuno sembra ancora aver rilevato è che mentre il testo, sebbene ricco, è scorrevole ed alla portata del lettore medio, le immagini presentano una decifrazione più difficile e rivelano una evoluzione interna che non si ferma alla bellezza ancora universale dell’Art Nouveau e si spinge ai confini dell’astrattismo senza volerci arrivare. Sartorio pittore dei chiaroscuri realistici ai confini dell’illusione ottica e delle anatomie classiche si imbeve di contemporaneità. Quella ricercata fatica nel riconoscimento di soggetti che sembrano soffrire per uscire dalle masse nere che li soffocano e l’assenza di linee di margine delle figure testimoniano l’avvicinarsi dell’artista ai movimenti d’Avanguardia. Un appropinquarsi personalissimo poiché tali figure, una volta identificate, tornano come per magia ad apparire di un realismo quasi fotografico (6), sebbene drammaticamente sintetico. Un realismo al quale l’artista non volle mai rinunciare.
Giulio Aristide Sartorio, Sibilla. Poema drammatico in quattro atti, L’Eroica, 1922, in quarto grande, 219 xilografie in nero, stampato su carta forte, 1333 copie con doppia firma dell’autore e dell’editore, copertina in cartone foderato e figurato, segnalibro a nastro, cofanetto in cartone figurato.
(1) Il senso del magico è mantenuto attraverso immagini insolite le mani destra e sinistra in apertura e chiusura del libro, alle quali corrispondono testi scritti al dritto ed al rovescio, o più codificate per gli addetti, come l’uroboro.
(2) D’Annunzio permea l’intero poema non soltanto stilisticamente con barocchismi, sinestesie, musicalità, ma anche attraverso temi ricorrenti come quello dell’acqua, dell’oro, della mitologia che ritorna, della ricerca del sacro nel vizio.
(3) Oggi il valore del libro, certo variabile in base allo stato di conservazione, può raggiungere i 2000 euro.
(4) Esistono due testi recenti sull’argomento: “Sibilla di Giulio Aristide Sartorio. Fra testo e immagine”, di Bibiana Borzì, Edizioni Scientifiche Italiane, 2012, e “La Sibilla di Sartorio. Un capolavoro dell’editoria italiana” di Loretta Eller, Accademia Nazionale d’arte Antica e Moderna, 2013.
(5) Trattasi di fatto di stampe con matrice a rilievo, sebbene di supporto metallico, dunque l’inchiostro va a coprire le parti non intaccate dall’acido, ed infatti nelle pagine di Sibilla non esiste alcun segno di battitura, tipico invece delle matrici ad incavo.
(6) In certe tavole è quasi sicuro che l’artista si sia avvalso di proiezioni fotografiche per delineare i contorni dei soggetti, espediente già sperimentato con successo nell’esecuzione del fregio di Montecitorio.
01. Corrado Pellegrini
Grazie Giorgio. Ogni volta che presenti un capolavoro lo fai con tale maestria, dovizia di particolari e passione che viene voglia di possedere il libro e sfogliarlo seguendo i tuoi commenti.
Come ora con la Sibilla di Sartorio che descrivi ed esalti in tutto il suo splendore. Con i tuoi articoli “avvicini i non addetti ai lavori” a un mondo di storie e illustrazioni ignote ed insegni cose che scavalcano la semplice storia illustrata collocandola nel contesto storico in cui è nata. Se un vero un vero Maestro..
Grande!
02. Giorgio Perlini
Corrado, ti ringrazio. A volte si ha l’impressione di scrivere per troppo pochi, forse solo per se stessi. Commenti come il tuo sono di grande conforto.