A Bologna, in una cappella laterale della chiesa di Santa Maria dei Servi, è conservato un crocifisso del XVII secolo, realizzato sulla base di un precedente modello del Giambologna. L’opera è in cartapesta gessata e la tradizione popolare vuole che la si sia ricavata mandando al macero una ingente quantità di carte da gioco. L’ozio e l’azzardo, di casa nella città che sembra abbia dato i natali al famoso tarocchino (detto appunto bolognese e nato a quanto pare alla corte dei Bentivoglio) dopo essere stati strumenti del demonio trovarono così una espiazione esemplare riconvertendosi nella sostanza che avrebbe dato corpo, sebbene in simulacro, al figlio di Dio.
Tra le carte da gioco e l’alcool esiste uno stretto legame, raramente ci si immagina un tavolino dove compaia un mazzo senza una bottiglia o dei boccali, e a volte giunge anche il fumo a rendere il quadretto più vizioso. Prendendo con ironia la propria professione, a qualcuno della ditta Wickuler, produttrice di birra dal 1845, venne l’idea di regalare ai consumatori un mazzo di carte. Era il 1968, i costumi stavano cambiando, ci si sentiva autorizzati a scherzare con l’alcool, col sesso, con gli abiti striminziti e con i vizi. Così la Wickuler distribuì il mazzo, inserito dentro ad una custodia in finta pelle verde simile ad un breviario da viaggio, con tanto di nervature sul dorso. Insomma le fattezze erano quelle ingannatrici di un libretto, come in quei nei film western dove il falso pastore nasconde la Colt dentro alla bibbia scavata ad arte. In seconda di copertina una tasca trasparente fa da alloggio per il calendario del 1969, mentre sul lato opposto, dove dovrebbero essere le pagine, 32 carte dai colori molto pop compongono un originale mazzo da skat, gioco prediletto nei paesi germanici e vagamente assimilabile alla briscola. La realizzazione del mazzo venne affidata alla storica ditta Ass, in piedi dal Settecento. Secondo il World Web Playing Cards Museum ne vennero stampati 14000 mazzi (ma in circolazione ce ne sono pochi), che risultano però distribuiti nel giro di due anni sostituendo il calendario ed aggiungendo, nell’edizione 1970, la scritta “Skat” sulla custodia. Le carte sono state rieditate negli anni Novanta con logo modificato sul dorso ed alcune varianti nella grafica dei semi. L’innegabile bellezza del mazzo è costituita dalla cura e dall’attenzione con cui certi pubblicitari agivano all’epoca; non ci è dato conoscere l’artista di queste carte ma il lavoro che eseguì dipingendo i ritratti dei dodici personaggi è sopraffino. Si pensò di restare in tema col simbolo della Wickuler, i tre moschettieri, dipingendo re, regine e fanti in costumi seicenteschi. I re appaiono con colletti di merletto, sontuosi broccati, boccali di peltro iperbarocchi e parrucche ai limiti del grottesco, tutti emblemi di vecchiume e di potere posticcio, quel potere che deve essere necessariamente abbattuto, specie nel ’68. Sui loro volti si stampano espressioni bamboccie, vorrebbero esibire una certa arroganza ma o sono vuoti o sono addormentati.
Le figure femminili più che appartenere alla classe “regine” rientrano nell’altra dizione relativa al gioco delle carte, “donne”. Potrebbero essere le cameriere dell’Hofbrauhaus, o meglio le attrici che le impersonano. Indossano il costume tipico con la scollatura ampia, hanno i capelli intrecciati con fiori, reggono senza fatica boccali plebei di vetro grosso. E sorridono. Proprio come nei caroselli del dentifricio, a confermare che il loro alito profuma nonostante l’alcool. Troppo belle per essere le consorti dei vecchi sovrani, essere rappresentano le loro dame di corte, con le quali i sovrani vorrebbero concedersi la scappatella. Ma a disturbare questo progetto ecco i fanti, cioè i moschettieri. Fieri e ridanciani al contempo, la guasconaggine che sprizza dalla posa e dalle facce, goderecci come Porthos ed irrefrenabili come D’Artagnan, hanno lasciato certe sobrietà tipiche dei due commilitoni dumasiani assenti ad altre attività più faticose. Le loro espressioni di entusiasmo sono rivolte alla birra ma lasciano intendere che la tresca con le donne e già in atto, alla faccia dei sovrani. Tutti i personaggi sono dipinti con spatolate ampie ma precise, ed un segno sicuro che potrebbe essere usato anche per dei manifesti. I colori brillano come sempre in pubblicità, sotto le luci dei faretti della sala posa dove girare uno spot televisivo, forse perfino i modelli sono gli stessi che cambiano abito ed atteggiamento. L’artista coglie quanto di allegro possa esserci nel reclamizzare un prodotto ironizzando su potere, gioventù e spensieratezza. L’invito dei moschettieri a sfidare i sovrani indica che prestare il proprio lavoro per la causa non implica essere sottomessi, e forse il Sessantotto lascia il suo segno politico anche in questo mazzo. Non credo l’artista volesse dipingere un gioco inneggiante alla ribellione, ma lo spirito del tempo si sente in una partecipazione goliardica. Se proprio di vizi bisognava trattare allora era d’uopo affrontare il tema con leggerezza facendo, come si dice, di necessità virtù. Insomma, chi teneva in mano quelle carte così solari era condotto con fantasia e creatività al sorriso, stimolato dalla giusta natura ludica e protetto dall’invischiamento rovinoso che oggi si ripresenta come ai tempi del crocifisso bolognese. Sì, proprio oggi, nel 2014, l’era della deprimente dipendenza da azzardo elettronico, quando perfino la mia banca, che quand’ero ragazzino oltre alle immancabili agende regalava simpatici calendarietti dove i grafici si sbizzarrivano nell’elaborazione della simbologia del salvadanaio, ha deciso di omaggiare i clienti con anonimi mazzi di carte da poker tutti uguali col serioso logo bancario stampato sul retro. Che tristezza.
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