di Giorgio Perlini
Nel mondo intrigante – e per certi versi ancora poco esplorato – delle riviste satiriche di inizio Novecento la parigina L’Assiette au Beurre (1) svetta per ferocia non censurata (2) ed assoluta libertà artistica. Palesemente antiborghese eppure inevitabilmente rivolta allo stesso ceto che metteva in ridicolo, venne concepita con l’idea originale ed impegnativa di impostare ogni numero – la cadenza era settimanale – in modo “doppiamente monografico”, affidando il tema, solitamente drammatico, o quantomeno spinoso, ad un unico disegnatore. Per quanto i disegnatori dell’epoca fossero tutti molto abili, l’eterogeneità tipica dell’impostazione degli altri periodici rendeva la qualità artistica degli stessi altalenante, a volte con effetti di stonatura. L’Assiette au Beurre al contrario si presentava sempre omogeneo e cattivissimo. Forse troppo, eppure visse per ben dodici anni (1901-1912) superando i seicento numeri. Tra le ragioni di un successo che sembra anomalo vi fu sicuramente la scelta di creare un prodotto totalmente visivo, da sfogliare immergendosi in grandi immagini (25 cm x 32 che nelle tavole doppie raggiungono dunque il mezzo metro) corredate da un testo minimale, spesso ridotto ad un titolo. A volte le pagine erano proprio concepite immaginando che i lettori le avrebbero usate appendendole a muro a mo’ di calendari o stampe d’arte. E qui sarebbe interessante ragionare su come i lettori, dei quali si presume che in minima parte appartenessero al proletariato, apprezzassero certi ardimenti. E’ pur vero che la borghesia costituiva un bersaglio trasversale ma non primario, ampiamente spodestato dall’ottusità delle gerarchie militari, dalla bramosia di potere dei governanti, dalla seduzione opportunistica della femme fatale di turno abbinata alla concupiscenza dei rappresentanti del potere economico, dall’endemia delle pratiche malavitose e dalla barbarie connaturata nel genere umano tutto, senza distinzione di ceto. Ma l’esistenza stessa della rivista era garantita dal fatto che si tolleravano attacchi tanto violenti in virtù dell’indiscusso valore artistico delle illustrazioni; l’arte sublimava scelte politiche che divenivano etiche. Uno dei personaggi che piazzò L’Assiette au Beurre nell’Olimpo dell’arte della satira, ben distanziata da altri periodici, fu Frantisek Kupka. Giunto a Parigi dopo aver studiato all’Accademia di Belle Arti di Praga, Kupka si inserisce nella movimentata scena artistica della Belle Epoque come uno sperimentatore, un animo profondo attento alle ricerche spirituali e sovrannaturali (nella capitale francese ebbe modo di sperimentare anche lo spiritismo), formatosi con un’impostazione classica e molto solida (si ammirino le sue anatomie e disposizioni prospettiche) e confluito al termine della sua attività nell’astrattismo più lirico. Oltre a qualche tavola sporadica seminata nella rivista, il connubio forte con L’Assiette au Beurre avvenne tre volte, in occasione delle quali i temi trattati furono Il Denaro (L’Argent n.41 dell’11 Gennaio 1902), Le Religioni (Religions n.162 del 7 maggio 1904) e la Pace (La Paix n.177 del 20 Agosto 1904). Dei tre albi in questione restano poche copie circolanti, ricercatissime, e sebbene il numero di pagine sia esiguo il loro prezzo supera ampiamente quello medio di qualunque rivista dell’epoca. In questa sede ci limiteremo all’analisi del numero intermedio, un vero pugno nello stomaco a partire dalla copertina: è occupata dalla testa d’un uomo anziano contenuta tra le mani d’un altro uomo che sembrano accarezzarlo come fosse un bambino. Più in basso entra nell’inquadratura un secondo paio di mani, non meno importanti, strette in preghiera. Dalla bocca dell’unico viso mostrato scaturiscono monete brillanti, che strabordano oltre le mani “consolatorie”. E’ geniale la modalità con la quale attraverso un’inquadratura così stretta l’artista suggerisca l’intera scena dell’inginocchiarsi dei fedeli davanti al confessore, con annessa elargizione generosa che vira in estorsione, raggiro ed anche eresia. E poi c’è un dettaglio al contempo marginale e determinante che fuga ogni dubbio, il pizzo bianco con le croci che si sovrappone al nero della veste sacerdotale confermando ogni eventuale dubbio sull’effettivo contesto cattolico. La testa del vecchio sembra plasmarsi tra le mani del sacerdote, i volumi conservano qualcosa di michelangiolesco. Interessantissimo anche l’uso personale dello stile Liberty, con i caratteri realizzati a mano libera e la cornice sinuosa del disegno usati in circostanza così grottesca. Bisogna ricordarsi che in quegli stessi anni un altro artista, boemo come Kupka, proponeva il massimo dell’estetica art nouveau sui muri della capitale francese ed anche sulle copertine dei suoi periodici: era Alfons Mucha, ben più celebre e sicuramente più facile da amare. I due artisti, che furono anche amici, rappresentano due facce del Liberty opposte eppure strettamente legate e danno la misura di quanto anche uno stile comunemente ritenuto molto codificato non fosse affatto chiuso alla sperimentazione. In quarta di copertina si riprende il concetto di apertura con un grasso questuante armato di cesta per le offerte. La sua ombra cade su di un paravento in cui la raffigurazione di un Dio iconico e piatto con il globo in mano nasconde a sua volta il vero cosmo, infinito e ben più profondo. Sì, perché nonostante Kupka spari a zero su chiunque evitando di schierarsi, il suo bersaglio sono le caste ed i seguaci fanatici, non il Divino (3). L’artista denuncia l’applicazione ottusa di regole, le interpretazioni assurde, i comportamenti scorretti, l’ipocrisia e gli sfruttamenti ma non gli Dei in sé, che sembrano essere al di là dei disegni e rimangono circondati da un certo mistero. L’albo, costituito di sedici pagine (come la maggior parte degli altri seppur la foliazione fosse variabile) di una grammatura appena più pesante dei numeri precedenti, si apre con la satira dell’Induismo, poi vi è una tavola dedicata all’Ebraismo, le religioni del Giappone, il paradiso dei Cristiani bianchi e di quelli neri, la divinità dei Pellerossa, Allah e Maometto, la doppia pagina centrale dedicata al mito della creazione dell’uomo, la religione cattolica, l’ortodossia russa, gli dei totemici del Nord America, la mitologia dell’antica Grecia, l’Animismo africano. Chiude la carrellata un’illustrazione con la Dea della Ragione. Dominano scene violente, che partono dal passato mitico per giungere al presente coloniale. Anche nell’immagine-affiche centrale l’occhio cade in primis sullo squarcio sanguinante di Adamo, al quale viene sfilata una costola come fosse una vacca in macelleria, ma il dramma lascia posto all’ironia: “Prometeo è piuttosto imbarazzato. Si chiede se debba mettere o no l’ombelico al suo capolavoro. Yahweh, parsimonioso, costruisce Eva con una semplice costoletta”. Si notino lo sguardo perplesso di Atena, il profilo caricaturalmente semita di Adamo, la palandrana da ottuagenario di Yahweh con tanto di pantofole. E poi la discesa delle scimmie dall’albero, piazzata giusto al centro a spiegare razionalmente una situazione altrimenti interpretabile all’infinito. La tavola, meno cattiva delle altre, sembra attaccare più che altro l’ingenuità umana ma conferma un razzismo tanto ricercato quanto consueto per l’epoca che Kupka applica democraticamente ai professanti di tutte le religioni. Sfogliando l’albo si coglie la denuncia della connivenza dei Tre (sporchi) Poteri tratteggiata con sicurezza, un segno largo e potente, a volte a carboncino, altre a pennello su carta ruvida. I personaggi deformati sembrano sciogliersi sotto le mano dell’artista eppure è innegabile il gusto Liberty che porta ad una singolare fusione di grottesco e stiloso. L’eleganza che spesso si accusava mancare al nostrano e “volgare” Gabriele Galantara, altro personalissimo collaboratore de L’Assiette au Beurre, rende tollerabile perfino l’esibizione delle più meticolose sevizie. E le tavole castigatorie della rivista dovevano far gola a molti collezionisti visto che nella penultima pagina una nota in fondo riporta, oltre alle solite modalità sugli abbonamenti, la dicitura che gli originali potevano essere acquistati a Parigi nella sala di vendita al n.9 di rue Sainte Anne.
In mezzo a tanti volti, divini ed umani, resi maschere satiriche, sboccia una fascinosa figura femminile, allegoria de la Raison; suo malgrado è condotta in trionfo ancora da brutti ceffi, stavolta giacobini. Dunque anche la bellezza della Ragione è destinata al decadimento: la data riportata dalla didascalia (10 Brumaire, an II) corrisponde al 31 Ottobre 1793, giorno in cui vennero giustiziati 29 deputati girondini. Insomma, per l’etico Kupka pensare di diventare più saggi sostituendo il raziocinio alla fede è una illusione, la bestialità della natura umana non può essere soppressa.
Francois (l’artista figura con nome francesizzato) Kupka, L’assiette au Beurre – Religions, n.162 – 7 mai 1904, formato in quarto, 16 pagine spillate, bianco e nero con l’aggiunta di un colore diverso per pagina.
(1) Letteralmente “Il Piatto di Burro”, ovvero un cibo costoso che le sole classi più abbienti avrebbero potuto trovare in tavola. Per ricercato contrasto, alla morbidezza e scivolosità evocate dal titolo corrispondeva un prodotto caustico a volte fino alla sgradevolezza.
(2) In verità due o tre volte, nell’arco di 12 anni, la censura intervenne; accadde per non intercorrere in incidenti diplomatici, sempre quando il bersaglio era la politica inglese.
(3) “(…) Povero Gesù! Quanti soldoni sono stati coniati nel tuo nome!” si legge alla fine del testo che correda la terribile immagine relativa al Dio del Vaticano.
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