L’onore conferito all’avvocato Utterson nell’incipit del dottor Jekyll rende il romanzo di Stevenson immediatamente riconoscibile a chi l’abbia già letto almeno una volta. Il patronimico di quel legale è uno degli elementi che piazza l’opera nella categoria aurea dei classici, suona come una promessa che verrà inderogabilmente mantenuta, rassicura il lettore che immergersi di nuovo in quel libro susciterà le stesse emozioni della prima volta. Un editore che ristampa un classico può dunque affidarsi all’indiscusso valore dello scritto e non curarsi affatto della veste tipografica, oppure, all’opposto, cercare un rivestimento che sia degno dell’olimpo dove dimora il contenuto interno. L’edizione de The strange case of Dr Jekyll and Mr Hyde della Dodd, Mead & Company di New York del 1930 è la più bella mai data alle stampe, a partire proprio dalla copertina. Nella sobrietà della tela nera il mezzobusto in oro dello scienziato filantropo si incurva avvicinandosi al lettore e guardandolo negli occhi. Dagli alambicchi scaturiscono vapori condensati in una nuvola art decò al centro della quale ritorna il nero dell’ombra di Jekyll, un’ombra selvaggia, con una capigliatura incolta che mal si accoppia alla giacca borghese indossata dal medico. Ma non finisce qui; nel dorso del libro, che sotto al nome di Stevenson riporta anche quello dell’illustratore, il dettaglio di una mano che impugna la fiala con la pozione fumante sintetizza bene tutta la storia, e precede tante mani avvinghiate su vetri analoghi, a partire da quelle che dal 1937 terrorizzeranno tutti i bambini davanti a Biancaneve della Disney nella fatidica sequenza della trasformazione della regina in strega. Una copertina così narrativa non corre il rischio di sminuire l’effetto sorpresa della storia poiché, essendo il libro appunto un classico, tutti sanno che tratta di una mutazione. Dunque è stata studiata per sublimare l’opera anticipandone la traccia principale, senza per questo togliere mistero al tutto ( il nero, l’ombra, il fumo ). Trattasi in verità non di una copertina particolarmente originale bensì concepita secondo lo stile unitario che rese le pubblicazioni della casa editrice immediatamente riconoscibili, e con la quale vennero pubblicate in America le opere di Anatole France. In questo caso però, date le caratteristiche del testo stevensoniano, si rivela particolarmente efficace. L’autore di quelle immagini e anche di quelle interne è Sydney George Hulme Beaman, londinese nato nel 1887, illustratore di cui si ricorda una serie di libri per bambini le cui storie si svolgono nella città dei giocattoli (Toytown) e da cui sono stati tratti cartoni animati, spettacoli teatrali, trasmissioni radiofoniche e televisive: un cosmo giocattoloso animato da personaggi-burattini dalle movenze legnose, molto simile a quello scaturito in contesto futurista dalla creatività di Fortunato Depero. E come il dottor Jekyll, anche il creatore di questo mondo coloratissimo, ludico e tanto apprezzato dai bambini, deve lasciar spazio ad un alter ego oscuro. Considerando che il primo libro incentrato su Toytown è datato 1925, dunque precede di cinque anni questa pubblicazione, quali motivi abbiano portato alla scelta di Beaman per illustrare un capolavoro del fantastico-nero è difficile immaginare. Inoltre, se oggi le tematiche dark sono amatissime tra i ragazzi, nel 1930 il romanzo di Stevenson non era ritenuto molto adatto ad un pubblico giovane e la sua affermazione nel settore venne trainata dagli altri libri d’avventura dello scrittore. Fatto sta che Beaman disegnò un piccolo capolavoro intriso di cinema espressionista tedesco, tutto a spigoli e verticali pendenti, con ombre più lunghe di quelle del gabinetto di un celeberrimo collega di Jekyll, e cioè Caligari. In sintonia con certe tendenze artistiche di quegli anni viene fatto uso dell’aerografo, adatto non solo per le vaste campiture ad angoli netti ottenuti con le mascherine ma anche per gli effetti di trasparenza e nebbiosità. Il risultato è un climax perfetto per la storia, nettamente più interessante delle figure dei personaggi, i quali vengono delineati con un segno quasi tradizionale quando avrebbero avuto bisogno di una trattazione più originale e vigorosa. Beaman cerca una soluzione che non sia troppo disturbante, come dire “sì insomma, va bene l’avanguardia, ma in un libro illustrato non si possono fare dei visi come quelli di Kirchner” e proprio lì il suo operato scende di livello. Si riprende però con le raffigurazioni delle paure, gli scrupoli di coscienza, i rimorsi di Jekyll: i due disegni al tratto del frontespizio e dei risguardi in rosso, nonché l’ultima tavola aerografata sono ben riusciti. Le galleggianti facce mostruose si incurvano in simulacri sferici come fossero chiuse nelle bocce vitree dello scienziato o fossero uscite dalle stesse bocce in forma di bolla.
Per definire l’aspetto di Hyde l’illustratore poteva disporre di molti modelli in quanto il romanzo era già stato trasportato al cinema circa quindici volte. Certo non esisteva la possibilità di fruizione che ci è concessa oggi ma qualche film Beaman deve averlo visto. In particolare si riscontra la somiglianza con la versione interpretata nel 1912 da James Cruze: un volto scimmiesco non eccessivamente spinto sul mostruoso, una deformazione che lascia ancora intendere un’umanità di partenza. Che Beaman fosse molto attento al cinema lo si riscontra anche in certi piccoli elementi di contorno; nella scena dello sdoppiamento Jekyll-Hyde per esempio, una cineseria posta sull’architrave del caminetto richiama puntualmente un noto genio del male – dunque tiriamo in ballo ancora un dottore -, Fu Manchu, figura letteraria passata dai racconti di Sax Rhomer allo schermo già nel 1923, e sviluppata in una lunga serie di interpretazioni che toccheranno l’apice con quella operata da Boris Karloff ( La maschera di Fu Manchu ). La versione di Beaman di Mr.Hyde potrebbe a sua volta aver influenzato le due trasposizioni cinematografiche più celebri, una delle quali datata giusto un anno dopo il libro e l’altra in cui il doppio personaggio viene affidato a Spencer Tracy, ben truccato e senza maschera per lasciare alla mimica dell’attore tutta l’espressività possibile.
L’illustratore inserisce testatine e finalini al tratto con il nero pieno fino ad ottenere, in certi casi, le sole silhouette dei personaggi. I contrasti netti di bianco e nero esprimono ottimamente non solo i contesti notturni rischiarati dai lampioni ma l’intero spirito del romanzo. Queste piccole immagini sono un corredo delle tavole fuori testo, le quali sono effettivamente poche, solo otto, ma stampate con molta cura su carta pesante e con un processo che permetteva una grande definizione di dettagli. Una delle tecniche usate dalla casa editrice era quella chiamata heliogravure, in italiano detta fotocalcografia al bitume. Trattasi di trasposizione del disegno originale tramite mezzo fotografico sulla lastra metallica da incidere: dopo aver eseguito il disegno lo si fotografava ricavando dal negativo un positivo su altro supporto trasparente, dopodiché si proiettava tale supporto sulla lastra solitamente di zinco o di rame, trattata anche essa con sostanze fotosensibili (sali e gelatine). La luce filtrava così in modo ottimale, ricreando l’identico disegno di mano dell’artista senza interpretazioni da parte dell’incisore. Dal trasparente positivo si otteneva dunque una lastra di nuovo negativa, dove le zone “scure” erano quelle attraverso le quali era passata la luce. A questo punto la lastra veniva trattata con bitume di Giudea e messa in forno per rendere certe zone inattaccabili dall’acido. Immersa nel bagno di morsura sarebbe poi stata estratta come matrice ad incavo, con le zone depresse che, una volta pulite, avrebbero raccolto l’inchiostro. Passando un foglio dopo l’altro sotto la pressa a contatto con la matrice inchiostrata si sarebbe ottenuto il numero di copie volute. Le tavole del nostro libro potrebbero anche essere state realizzate con un processo più semplice di photogravure (fotoincisione) a rilievo, o addirittura fotolitografia, ma la battitura riportata a mo’ di cornice su tutti i disegni così come la gamma vasta e ben riprodotta di mezzi toni vellutati, fa propendere per la prima ipotesi. Inoltre non si riscontrano sporgenze di alcun tipo sul retro delle stampe.
Secondo i miei parametri questa versione costituisce ancora oggi l’edizione insuperata del romanzo e non è neanche troppo faticosa da trovare. Piuttosto bisogna prestare attenzione al prezzo, in quanto spesso viene proposta dalle librerie antiquarie a cifre altissime ma pazientando la si può acquistare all’asta on line per poche decine di Euro. E allora vi assicuro che la pazienza sarà ricompensata.
The strange case of Dr Jekyll and Mr Hyde, Robert Louis Stevenson, Dodd, Mead & Company, 1930, telato nero con rialzi in oro, taglio superiore in rosso, pagine con margini irregolari, formato in quarto, otto illustrazioni fuori testo su carta pesante, sovraccoperta nera con figure in giallo-verde.
Esistente anche nella contemporanea edizione per il mercato inglese ad opera della Bodley Head di Londra. Entrambe le versioni risultano stampate in Inghilterra.
Risulta inoltre una versione con copertina rosso mattone, sempre datata 1930, poi alcune ristampe.
Scrivi un commento