Imperscrutabili meccaniche editorial/fatali determinano l’occultamento di opere letterarie anche quando esse riportano una paternità illustre, oppure rivelerebbero ad un editore attento il loro appeal commerciale. A volte tali creazioni possiedono entrambe le suddette caratteristiche, eppure sono destinate a restare inedite in certe aree geografiche. Un caso eclatante credo sia costituito dal gustosissimo The Devil’s Walk, poemetto satirico scritto da Samuel Taylor Coleridge mai tradotto in Italiano e neanche mai pubblicato in lingua originale in Italia, paese che pure ha amato il poeta e lo ama ancora. In questo caso l’intrigante ma sconveniente soggetto infernale, pretesto per sbeffeggiare la società anglosassone, deve essere apparso come “troppo inglese”, praticamente intraducibile, e ha fatto desistere da un’edizione nel territorio della sede papale allontanando l’opera fino a farla dimenticare (1).
Genesi e sviluppo del poema risultano di difficile ricostruzione; sembra che una prima versione appaia sul Morning Post nel 1799 con il titolo di The Devil’s Thoughts. Firmata in coppia dagli amici Thomas Coleridge e Robert Southey, viene poi ampliata da quest’ultimo nel 1827. Nel 1830 arriva The Devil’s Visit, successivamente The Real Devil’s Walk ed infine The Devil’s Progress. Ma del 1830 è anche The Devil’s Walk attribuito al professor Richard Porson, illustrato con tavole di R. Cruikshank e con sei xilografie di Bonner Slader, note biografiche di H.W. Montagu. Ad ingarbugliare la situazione si impegnano anche Percy Bysshe Shelley e Lord Byron: il primo dei due già nel 1812 manda in stampa un suo The Devil’s Walk: the ballad. Questo componimento risulta più articolato ma alcune quartine riportano i medesimi fatti seppure con rime differenti. L’altro scrive The Devil’s Drive, ideale seguito della versione porsoniana.
L’edizione più intrigante è però quella del 1831 e non riporta i nomi degli autori in copertina e tanto meno nel frontespizio, mentre quello dell’illustratore viene dichiarato in entrambi. La motivazione di questa scelta è dovuta al fatto che il libro si compone sostanzialmente di “Ten etchings illustrative of the Devil’s Walk by Thomas Landseer” (titolo del frontespizio), dunque è concepito come una raccolta di stampe che illustrano una piccola selezione dei versi del poema; però l’omissione di paternità fa apparire la storia narrata una leggenda popolare, un racconto noto a tutti e dotato di vita propria. Solo nell’introduzione, operata con tutta probabilità dallo stampatore Henry Baylis, tornano i nomi di Coleridge e Southey, affiancati a quello del filologo Porson. A quest’ultimo viene attribuito l’incipit del componimento, poi tutto il resto sarebbe opera di Coleridge.
La storia è quella del Diavolo che si sveglia dal suo letto di brace (letterale) e decide di fare un giro sulla terra che a quanto pare è un suo dominio. In volo osserva dall’alto panorami bucolici mentre la sua coda ondeggia avanti ed indietro paragonata al bastone da passeggio del gentiluomo. E’ vestito in modo elegante, di rosso e blu, con un buco nei pantaloni per il passaggio della coda. Giunto a Londra si imbatte in una moltitudine di mendicanti ma i personaggi che attirano la sua attenzione sono un avvocato, un farmacista ed un libraio. Il primo sta uccidendo una vipera arrotolata su un mucchio di letame e nella mente del demonio affiora il ricordo di Caino ed Abele. Il secondo è in groppa ad un cavallo bianco ed il diavolo lo collega alla figura della morte nell’Apocalisse di San Giovanni. Il terzo, ambizioso nel desiderio di conoscenza, si immedesima nel diavolo stesso e nel suo ruolo di tentatore nel paradiso terrestre. Poi la corruzione dalla grande città dilaga anche nelle campagne: i cottage che imitano le vecchie abitazioni rurali cercano di dissimulare la superbia attraverso una tanto esibita quanto falsa umiltà. E quando il Diavolo sbircia dentro le celebri prigioni di Cold Bath e vede le celle d’isolamento riceve ispirazione per rendere più terribili le carceri dell’inferno. La quartina conclusiva è la più misteriosa; narra che il Diavolo, a causa di un errore, se ne ritorna in fretta a casa sua. L’interpretazione dei versi non è sicura ma probabilmente il Demonio ha scambiato l’illuminazione a gas londinese (2) (“General Gascoigne’s burning faces”) per un terribile incendio. Insomma Londra nell’Ottocento è più spaventosa degli inferi e gli uomini si rivelano più cattivi dei (poveri) diavoli, i quali se in origine hanno ispirato la malvagità, di fronte al progresso risultano addirittura ingenui. Le poche rime del poema divengono un canovaccio per le bellissime immagini di Thomas Landseer.
Landseer è un artista inglese amato dai collezionisti di incisioni a soggetto animalista, ambito in cui anche suo padre e suo fratello si specializzarono. Al confronto con questi due però il gusto di Thomas si distingue per una predilezione del grottesco, spesso gli animali acquisiscono le caratteristiche di una umanizzazione atta a mostrare la loro parentela con la specie dominante e anche a mettere in ridicolo certi atteggiamenti di quest’ultima. Esemplare a questo proposito è la serie del 1827 Monkeyana, con sottotitolo Men in miniature, in cui l’artista si diverte a rappresentare scimmiette che recitano a teatro, tirano di boxe, gareggiano in corse con i cavalli, vanno al mercato per la spesa, assumono pose di comando e leggono in veste da camera i quotidiani inforcando gli occhiali. Nel frontespizio della serie, quasi un’anticipazione ai temi futuri, un demone di chiara derivazione faunesca bisbiglia all’orecchio di una bertuccia ridanciana mentre le insegna l’abilità della scrittura. Questa immagine d’apertura getta una luce se non proprio demonica quantomeno sinistra sulle illustrazioni già inquietanti degli umanissimi capricci dei piccoli primati. Insomma il soggetto luciferino scaturiva dal bulino di Landseer già dieci anni prima di The Devil’s Walk.
In questa ultima occasione le figure divengono oltremodo bizzarre; l’anatomia del tentatore sembra contorcersi di più ad ogni immagine, una stretta colata lavica che si avviluppa come un rampicante su di un’ossatura che termina sempre acuminata (gli zoccoli bifidi, le unghie puntute, le corna mal dissimulate). Il ribollire del corpo al di sotto dei tirati vestiti borghesi si incanala nel serpente della coda, la quale deve trovare un varco, uscire insinuandosi tra le gambe del proprietario alludendo a quella carica sessuale che i pittori del Romanticismo non potevano dipingere ma che nel contesto della satira veniva tollerata. Landseer osa con la consapevolezza che il soggetto glielo consente, ma si colloca giusto sul limite, un graffio di più e sarebbe incorso nella censura. Nell’incisione con il libraio si vede il Diavolo gettato in posa scomposta su di una poltrona con la suddetta coda lubrica annusata da un cagnolino. Trovandoci all’interno di una libreria l’artista ha l’opportunità delle citazioni: si identificano in particolare i titoli Paradise Lost, Don Juan ed il meno famoso A vision of judgment. In tutti si parla di inferno e l’ultimo dei tre è un poema dell’amico Southey in cui viene attaccata la “satanic school” di poesia a cui apparterrebbero Shelley e Byron, colpevoli di empietà ed orgoglio malsano. Landseer arricchisce i pochi versi di Coleridge da un lato dichiarando le fonti culturali da cui gli piace attingere e dall’altro elaborando un’ artistica poetica personale basata sulla modulazione dei toni. I segni dal grigio appena percepibile si infittiscono fino raggiungere il nero pieno e vellutato che ben si confà con il soggetto sulfureo e che solo con l’acquaforte si riesce ad ottenere. E’ importante soffermarsi sul mezzo espressivo, ed il disegnatore ci tiene a ribadire di proprio pugno in calce alle stampe “Designed and etched by Tho. Landeseer”; quindi non si tratta di “engravings” (incisioni su legno) ma proprio della nobile e raffinata tecnica della lastra di rame scavata dall’acido (3), con la quale si ottengono stampe molto ricercate dai collezionisti. Motivo per cui il libro completo raggiunge un valore troppo alto anche per collezionisti facoltosi e a volte finisce per subire l’ignobile prassi dello smembramento da parte dei venditori per piazzarne più agilmente le singole pagine (4). Decisamente più caricaturale di Gustave Doré, Landseer precorre le immagini di Louis Le Breton per l’edizione del 1863 del Vocabolario infernale di Collin de Plancy ma potendo concentrarsi su pochi soggetti realizza un capolavoro dinamico, drammatico ed ironico allo stesso tempo, al cui confronto il Francese, sebbene molto fantasioso, appare rozzo e votato ad un gusto popolare. La medesima sorte tocca ai vari illustratori de Il diavolo zoppo di Alain Rene la Sage, tra cui spicca Tony Johannot, che pure caratterizza uno splendido Asmodeo. Questo demone non regge il parallelo con quello dell’artista inglese ma guarda caso ha le fattezze delle scimmiette di Monkeyana.
The Devil’s Walk, – from his brimstone bed – Thomas Landseer, volume cartonato in folio contenente dieci incisioni all’acquaforte protette da veline mute, F.G. Harding, 1831
Note:
(1) In Italia, messi da parte i poeti tra medioevo e barocco quando il diavolo era strumento per incutere terrore ai fedeli (e gli stessi artisti lo temevano), pochi autori si cimentarono sul personaggio -restando nella memoria collettiva- dall’epoca in cui divenne controverso simbolo di ribellione: forse solo Boito, Rapisardi e Papini.
(2) Nel 1807 Londra fu la prima la prima città in assoluto ad essere dotata di illuminazione pubblica a gas, partendo da Pall Mall nel borgo di Westminster.
(3) L’acquaforte è un processo di stampa a mano in cui la lastra metallica (in origine rame o zinco) viene coperta di cera per poi graffiarvi sopra un disegno. Immersa in una soluzione di acqua e acido la lastra viene corrosa laddove la cera è stata scoperta dai graffi mentre tutto il resto risulta impermeabile poiché cerato. Il tempo di immersione e la concentrazione di acido contribuiscono alla profondità dei solchi di corrosione (morsura). Estratta dal bagno viene ripulita dalla cera e si procede all’inchiostrazione lasciando depositare il liquido nei segni scavati e pulendo le superfici piane. I fogli da stampa, solitamente inumiditi per ottenere una aderenza migliore, vengono impressi a contatto con una pressa, necessitando un nuovo passaggio di inchiostro per ogni foglio. Le loro dimensioni superano quelle della lastra e resta dunque visibile la “battitura” cioè l’impronta dell’intera area di stampa leggermente depressa rispetto al foglio.
(4) Per la prima volta viene riprodotta qui l’intera cartella (senza la prefazione) con ulteriori dettagli a beneficio degli studiosi. La definizione delle immagini è ottimale per la visione a monitor ma non adatta alla stampa, per ovvi motivi.
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