Dopo sette anni mi sono deciso ad effettuare un esame della vista dal mio amico ottico Enrico per un aggiornamento delle lenti ed anche perché la montatura mostrava i segni di qualche battaglia. Con grande sorpresa Enrico mi comunica che invecchiando ringiovanisco, infatti le lenti non vanno più bene perché la miopia è in diminuzione mentre la presbiopia resta pressoché invariata. Mi propone così un bel paio d’occhiali futuristici di colore nero da un lato e blu petrolio dall’altro, in titanio, con delle lenti speciali, non solo correttive dei suddetti due difetti ma singolarmente modellate sulla curvatura dei bulbi, centrate a dovere, rifinite come le avesse fatte un sarto del cristallo. Tempo di preparazione una settimana durante la quale, ragionando su tanta tecnologia oftalmica, mi torna in mente che ho un curioso libro americano degli anni Cinquanta, il titolo però non mi sovviene, che cerca di spiegare in modo divertente i vantaggi derivanti da una corretta visione. Tale libro costituisce una doppia fonte di interesse in quanto coniuga la mia passione per l’editoria illustrata con quella per la grafica pubblicitaria; ricordo bene infatti che è un’opera promozionale, ma ciò che proprio non ricordo è dove l’ho riposto. Impiego una settimana nella ricerca e lo trovo giusto in concomitanza con l’arrivo dei miei occhiali spaziali. Si intitola The Story of Wilbur T. Mize (non mi sarebbe venuto in mente neanche sotto tortura) ed è frutto della collaborazione fra Leo Kaplan, artista commerciale per professione nonché presidente dell’Art Directors’ Club di Rochester, New York, (tutte notizie che apprendo dalla prima aletta della sovraccoperta) e George E. Mercier, che ne cura le illustrazioni ed anche la veste grafica. Difficile scovare altre notizie degne di rilievo anche in rete, però imparo che una copia del libro, a quanto pare non molto comune, è conservata nel MusEYEum-The College of Optometrists, dove è conservata una grande serie di oggetti a tema, consultabile on line.
Sfoglio le prime pagine e mi chiedo perché non vengano più realizzati dei gadget così: i salvadanai delle banche, i calendarietti dei barbieri, le carte da gioco della birra(*), i pupazzetti, le automobiline e le figurine prismatiche dei formaggini, delle patatine e dei detersivi, perfino i libri illustrati degli occhiali (almeno in America). Ma sarà vero che i ragazzini non sono più attratti da tutti questi gustosi ammennicoli? Capisco che hanno l’universo a portata di pollice dentro le tasche, anzi già in mano, ma almeno i bambini più piccoli…e poi noi pseudoadulti, bambini mai cresciuti del tutto con la scusa del collezionismo…
Comunque passiamo al volume; trattasi di un cartonato in formato orizzontale (e già questo è affascinante in quanto desueto) che narra con pochi versi in rima e grandi disegni la storia di un uomo che ha sei paia di occhi, dei quali però fa uso un paio alla volta, a seconda delle circostanze; è il proprietario di un negozio di scarpe ed il primo paio di occhi lo usa sul lavoro. Il secondo paio lo impiega nei suoi lavoretti di bricolage domestico. Il terzo quando scrive, legge o guarda la tv, il quarto quando va a pesca o a caccia, il quinto quando deve vestirsi in modo elegante per accompagnare da qualche parte sua moglie, mentre il sesto quando si veste comodo per giocare con il figlio, anche lui munito di occhiali. Insomma Wilbur ha sei paia di occhi ma ne usa una sola coppia alla volta ed ha un solo paio di occhiali. Finché un giorno inizia a vedere le scatole delle scarpe in negozio come fossero disordinate, ed i numeri confusi e sfocati. Preoccupato corre dall’oculista, il quale, tutt’altro che meravigliato, gli spiega che un unico paio di occhiali non può funzionare per ogni evenienza, sarebbe “come usare delle pinze per piantare i chiodi oppure delle cesoie per stringere una sbarra”. Insomma come esiste l’attrezzo giusto per ogni tipo di applicazione, così esistono gli occhiali specifici ad ogni tipo di visione. Wilbur, presa consapevolezza dell’aver trascurato la sua vista, provvede all’acquisto di un paio di occhiali con “lenti bifocali speciali” e risolve i suoi problemi sul lavoro. Trattasi infatti di lenti a doppio segmento, cioè una lunetta per la lettura sia nella parte alta che in quella bassa delle lenti, così da poter vedere in modo nitido da tutti i lati. Dopodiché ragiona sul suo secondo paio di occhi e capisce che per continuare a fare laboratorio domestico in sicurezza necessita di lenti che non solo correggano il suo difetto visivo ma siano particolarmente dure per proteggere gli occhi da schegge e polvere, dunque servono lenti con vetro temperato. Per il terzo paio di occhi capisce che gli servono degli occhiali con lenti trifocali, così da mettere a fuoco lo schermo della tv, il libro che tiene sulle ginocchia e tutto ciò che è compreso nella distanza tra i due estremi. Poi si procura degli occhiali da sole (Ray-Ban) affinché riflessi o abbagli non disturbino il suo quarto paio di occhi, quello usato durante le attività ricreative all’aperto. E quando si mette alla guida dell’auto, oltre alla manutenzione ordinaria della vettura provvede a quella degli occhiali da sole, la cui pulizia garantisce una guida sicura. Relativamente alle serate mondane con la signora Mize, cena o teatro che sia, il look di Wilbur è sobrio ma scelto con accuratezza, quindi le montature saranno adeguate ed alla moda: una nota specifica che esiste anche la possibilità di avere montature in oro a 12 carati. Per i momenti informali di svago (sesto paio di occhi), quando Wilbur si veste a strisce o a quadretti, sono perfetti gli occhiali in plastica a colori vivaci. Soddisfatti tutti questi bisogni Mr. Mize inizia a ragionare sui figli, e capisce che anche loro potrebbero avere sei paia di occhi: la prima cosa da fare è quella di provvedere a montature robuste e lenti rinforzate adatte al gioco. E poi anche Mrs Mize, che svolge ruoli diversi, donna di casa, madre, infermiera e signora di società, necessita di occhiali diversi in base al momento, occhiali “squisitamente disegnati per esaltare la sua bellezza”. Soddisfatti questi bisogni l’efficienza di Wilbur raggiunge il massimo lasciando tutti sbigottiti per la rapidità ed il mistero di questa improvvisa situazione così performante. E Mr. Mize svela generosamente il suo segreto, cioè servono occhiali specifici per ogni circostanza. La storiella si conclude all’incirca così: “Non puoi giudicare il valore di una buona vista dal prezzo, la tua vista non ha prezzo, dunque segui questo consiglio: la soluzione più economica è lontana dall’essere la migliore, una buona vista non si può misurare in soli dollari. Per una protezione completa segui Wilbur T.Mize, indossa gli occhiali migliori per ogni paio di occhi”. Segue, affiancata al logo della Bausch & Lomb optical Company di Rochster N.Y., una dichiarazione del tipo “Pubblicato nell’interesse di una miglior visione di 112 milioni di Americani che necessitano di cure oculistiche professionali”. Poi nell’ultima aletta altre dichiarazioni in favore della “better vision” rilasciate da Carl S. Hallauer presidente della suddetta Bausch & Lomb.
Dal punto di vista del marketing un’opera geniale, bisognerebbe proporla nei corsi specifici. In copertina il misterioso Mr.Mize appare sulla soglia di casa come un mostro alieno in penombra. Sono gli anni in cui il cinema di fantascienza made in USA pullula dei cosiddetti B.E.M (Big Eyed Monsters) pronti ad invadere le dimore di ignari ed onesti cittadini. Entrando nel libro però si chiarisce il perché dei dodici occhi ed il protagonista assume subito un aspetto familiare. E’ disegnato con un segno riassuntivo di grande spessore, spigoloso al punto giusto, in bluette su bianco; in ogni pagina una larga pennellata piatta e monocromatica a volte verde, altre rosa, sottolinea il fulcro della composizione. Si potrebbe aggiungere uno slogan ed ogni disegno diventerebbe un manifesto. L’efficacia della sintesi di questi disegni è da manuale. I personaggi camminano, si flettono, interagiscono in modo perfetto, delineati da quel risparmio grafico in voga all’epoca (una icona del genere è Mr.Magoo, il quale, guarda caso, è uno che con la vista ha parecchi problemi) che non si limitava ai cartoni animati ed ai fumetti ma era presente anche nel design, nella moda, nell’architettura. La scuola Bauhaus, il Neoplasticismo, Mondrian, Wright, Le Corbusier, possono essere citati senza esagerazione. E questi disegni rivelano quanto la sintesi oltre che bella può risultare anche divertente. Non per niente tale stile è uno di quelli che ha caratterizzato l’enciclopedia americana per ragazzi “I quindici”, che ebbe grande successo in Italia segnando i gusti di una generazione (c’ero dentro anche io).
Nel libro si cambia registro grafico scendendo nei dettagli quando è necessario introdurre nelle illustrazioni i prodotti reclamizzati (gli occhiali), che diventano così protagonisti sebbene la pennellata di colore non li tocchi. Il lettering è altrettanto studiato, le frasi chiave delle rime sono di dimensioni leggermente più grandi e degli stessi due colori dei colpi di pennellessa sui disegni.
Detto tutto ciò, ci possiamo anche concedere di passare dal piano artistico a quello terra terra; dalle immagini si deduce che i figli di Wilbur sono quattro, ai quali va aggiunta una moglie, dunque sarebbero sei per cinque, cioè trenta paia di occhiali con tanto di lenti speciali più le altre sei paia per Wilbur. Ora, va bene che gli affari di Mr.Mize vanno a gonfie vele proprio per merito degli occhiali nuovi, però cavoli, quanto si guadagna a vendere scarpe? Per non parlare dell’entropia familiare, trentasei paia di occhiali (non so voi ma a casa mia gli occhiali li teniamo tutti nello stesso cassetto)…
Mi sfilo gli occhiali nuovi supertecno e mentre li osservo soddisfatto penso che sì, in fondo, gli anni venti del secondo millennio saranno pure tristi senza gadget pubblicitari però qualche vantaggio ce l’hanno.
(*) Sul tema vedi “Dove osavano i pubblicitari” nella sezione “Pergamene” di questo sito
The Story of Wilbur T. Mize, testo di Leo Kaplan, illustrazioni ed impaginazione grafica di George E. Mercier Jr, cartonato oblungo in quarto con sovraccoperta, Bausch & Lomb optical Co. N.Y, 1957.
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