Figurine, poster, copertine di dischi, tatuaggi in bustina, illustrazioni pubblicitarie, manifesti cinematografici in aggiunta a migliaia di pagine di comics. Jack Davis basterebbe da solo a riempire la sezione “Ritagli” di “Tu(t)ti libri io mi libro”. Credo sia, allo stato attuale, la più grande leggenda vivente del mondo del fumetto. Il destino volle che lo stesso artista che aveva decretato, sebbene involontariamente, la morte dell’horror a fumetti ne tenesse a battesimo anche la rinascita. Fu lui che nel 1953, autore di punta della E.C. Comics, disegnò l’incriminata Foul Play! apparsa sul n.19 di Haunt of Fear, dove un giocatore di baseball tiranno viene macellato dai membri della squadra. La storia è celeberrima, e tuttora inedita in molti paesi, compresa l’Italia, per la nefasta fama di essere portata come esempio nel saggio “Seduction of the Innocent”, in cui si accusavano i fumetti horror di traviare menti ed anime dei giovani lettori. Così nel 1955 le testate della E.C. furono costrette a chiudere. E fu sempre Jack Davis che nel 1964 celebrò la risurrezione dell’horror con l’indimenticabile copertina del n.1 del magazine Creepy.
Sì, perché Davis l’horror ce l’ha proprio nel sangue.
In questa sede prenderemo in esame solo alcune serie di cards, perché la sua produzione – su cui esistono due volumi, inevitabilmente incompleti – è sterminata.
Per capire il contesto in cui Davis operava è bene sapere che la ditta americana Topps, produttrice di chewingum tuttora esistente, spopolava tra i ragazzini degli anni Cinquanta per le figurine sportive (in americano “cards”), in particolare quelle dei giocatori di baseball, inserite nelle confezioni di gomme da masticare. Quando si decise di produrre una serie di figurine di tema orrorifico non fotografiche bensì disegnate, si pensò a Davis, all’epoca impegnato con le storie umoristiche di Mad. La scelta venne operata probabilmente conoscendo sia la velocità con cui l’artista era in grado di lavorare, sia la sua capacità di passare con disinvoltura dal serio al grottesco. Davis non si lasciò sfuggire l’occasione di riprendere in mano i suoi temi amati ed accettò l’incarico; nel 1959 i suddetti ragazzini americani impazzirono scartando i loro chewingum e trovandovi dentro le innovative, coloratissime e mostruosissime immagini della serie You’ll die laughing (titolo riportato sul retro) comunemente detta Funny Monsters (titolo che compariva sulle confezioni). L’idea vincente fu quella di abbinare l’orrore all’ironia; tutte le creature classiche dell’horror cinematografico già comodamente piazzatesi nell’immaginario collettivo più altre inventate per l’occasione compaiono vividamente colorate, interpretate con un segno comico efficacissimo, accompagnate da un battuta stampata sul margine inferiore del cartoncino. A completare l’opera sul retro delle cards, un’immagine in bicromia con la compagnia mostruosa sghignazzante incornicia in viola delle barzellette scritte in rosso. La Topps, consapevole della bagarre scatenata dai fumetti dell’orrore ma altrettanto consapevole dell’entusiasmo con cui bambini ed adolescenti accoglievano i mostri, non seppe resistere alla logica del profitto. Le carte però apparvero col marchio copertura “Bubbles Inc.” così da non compromettere la fama consolidata della ditta, perché si sa, lo sport fa bene, l’horror no. Alla faccia delle schivate censure Funny Monsters è forse la più bella serie di figurine che la Topps abbia lanciato, superiore per valore artistico, se non per impatto, anche alla famigerata Mars Attacks. La linea grottesca di Davis oscilla tra lo spaventoso ed il cartone animato, alcune cards appaiono più realistiche, altre irresistibilmente irriverenti nei confronti dei classici Universal. Frankenstein, uno dei soggetti più cari all’artista (tra i numerosi omaggi che Davis gli ha dedicato nel corso della sua produzione spicca un introvabile poster del 1962 alto addirittura un metro ed ottanta centimetri) compare caricaturato in ben cinque figurine ed anche sul retro delle stesse. Ma si sbeffeggiano anche le creature gommose dei film di fantascienza di quegli anni, chiamate BEM ( acronimo di Big Eyed Monsters ) e perfino il demone dello strepitoso La notte del demonio di Turneur. Le situazioni sono sempre adatte e comprensibili ai bambini: il licantropo dal barbiere o con la dentiera sul comodino, l’alieno palmato nel negozio di calzature, gli spettri che si interrogano sull’esistenza degli umani, la morte nello studio del medico, gli esploratori rimpiccioliti dalle stregonerie, gli scheletri con i reumatismi, la strega a cavallo dell’aspirapolvere. In una figurina Davis torna impunito sul luogo del delitto, il campo da baseball, con un licantropo attrezzato di tutto punto, ma l’assenza di sangue e le facce buffe dei giocatori conferiscono innocenza al fatto. A differenza di quanto succedeva nei fumetti, dove i colori non erano stesi dall’autore dei disegni, qui tutto è opera dello stesso artista; tempere ed acquerelli modulati ed accostati per contrasto aggiungono dinamismo e rendono i personaggi quasi tridimensionali.
Il successo dell’operazione sancì fino al 1968 la collaborazione di Davis con la Topps, all’interno della quale spiccano due serie intitolate Funny Valentines (*), edita nel 1959 e Giant Funny Valentines del 1961. Tutte le cards sono impostate secondo il gioco del “gira la carta”, secondo cui ad ogni immagine a colori, con tema romantico e tanto di cornicetta a cuore e pizzi sul fronte fa da contraltare sul retro un grottesco disegno in bianco e nero con l’aggiunta del rosso, dove torna la tematica dell’orrido. Una fila di puntini di sospensione rende la carta personalizzabile, motivo per cui risulta difficile oggi trovarne una serie completa immacolata e dunque di valore collezionistico. Rispetto a You’ll die laughing Davis, nelle figure “lato a” sceglie uno stile quasi impersonale, tiene a freno ogni impeto, sfuma i colori in modo delicato, così che quando si esegue il turn over delle istruzioni l’impatto con il “lato b” sia dirompente. Il segno diventa depositario di un’energia cinetica e contemporaneamente d’una vis comica che solo gli artisti in stato di grazia possiedono. Basta guardare dettagli solitamente trascurati dai disegnatori, come le scarpe. Davis è capace di rendere espressive perfino quelle, che è operazione impossibile quasi come certi detti, tipo “cavare sangue dalle rape” o “far ridere i sassi”. Inoltre tutto sembra realizzato in gran velocità, con grafemi che si accavallano diretti in direzioni diverse, e ci si chiede come sia possibile disegnare così in fretta con risultati così alti. Quella fretta in realtà è ben meditata, sotto alle chine c’è una matita studiata chissà quante volte: il segno diventa complemento perfetto del di-segno. E l’inchiostro, steso in velocità sulla traccia a matita conferisce l’idea del movimento frenetico dei personaggi, le fughe, le esplosioni di rabbia, lo spavento improvviso. Questo lavoro proietta una luce nuova, e più giusta, sulla produzione dell’artista per la E.C. Comics. Una storia come Foul Play! appare ora in tutta la sua assurdità, la violenza è esorcizzata perché parossistica e nessun innocente può essere sedotto da fumetti così poco realistici, con buona pace dello psichiatra Fredric Vertham e della sua citata pubblicazione.
Ed arriviamo al 1964, quando Davis è richiestissimo per le copertine dei dischi. A chi altri si potrebbe affidare un long play di Gene Moss intitolato Dracula’s Greatest Hits? Oltre ai due stupendi disegni esterni in bianco e nero, in cui l’orrida parata si cimenta cantando in coro e si scatena in un ballo sgangherato, viene inserito nell’album un folder con quindici carte fustellate, che ritraggono altrettanti mostri tra cui figura anche un Hot Rod Weirdo, forse l’unico mostro che non ha varcato i confini nazionali, ottenuto dalla fusione di un mutante con l’improbabile vettura che lo trasporta a tutta velocità. Inutile spingersi in elogi per il disegnatore, guardate le immagini che corredano l’articolo. La tecnica del chiaroscuro a pennino (opposta a quella basata sul colore scelta per You’ll die laughing) raggiunge un vertice di raffinatezza che nei fumetti E.C. non poteva essere toccato per scelte espressionistiche e Davis conferma la sua completezza artistica. A studiare bene tutta questa produzione viene il sospetto che il matrimonio carnevalesco tra horror e rock sia invenzione di Jack Davis prima che dei Cramps. L’intero movimento psichobilly, con Boris Karloff ed Elsa Lanchester elette icone sexy, le vampire in baby-doll e le mummie androgine (evitando però l’esaltazione del fetish snob, semmai accendendo la miscela con una certa ruralità di provincia ed anche col “make it yourself” tipico dei B-movies fantascientifici), ha in Davis un ignaro quanto imprescindibile punto di partenza.
Chiudo con un consiglio ai nuovi disegnatori di fumetti: lasciate perdere quei manuali di anatomia con le fotografie. Procuratevi qualcosa, qualunque cosa, di Jack Davis e cominciate a copiare segno e disegno. Partendo dalle scarpe.
(*) Sono dette “Valentine” quei biglietti romantici, spesso fustellati e goffrati, con cui gli innamorati si scambiavano gli auguri, specie nel giorno di S.Valentino. La loro massima diffusione si ebbe in America tra la metà del XIX secolo e la metà del XX.
Qualche nota per i collezionisti accaniti:
Funny Monsters o You’ll die laughing, serie di 66 carte di formato cm.8,8×6,5, disegnate a colori al recto, e con immagine blu-viola su cartoncino grigio al verso, 1959, Topps. L’immagine sulle bustine, nonostante raffiguri l’amato Frankenstein, è di una mano più rigida di quella del maestro, mentre il box contenitore delle bustine, pressoché introvabile ( il valore arriva fino a quattro volte quello dell’intera serie di carte ), è dipinto da Davis con un divertito Frankenstein solleticato da Igor, più altre teste mostruose sui lati minori della scatola.
Per il mercato inglese venne stampata una serie di sole 48 carte, con le stesse immagini ma numerazione differente, di formato leggermente più piccolo (cm8x5.5) e stampate su cartoncino bianco, sul cui verso figura il marchio “AABC printed in England”.
Funny Valentines, prima serie, 66 carte di formato cm.8,8×6,5, disegnate al recto ed al verso, 1959, Topps. L’immagine sulle bustine, nonostante raffiguri l’amato Frankenstein, è di una mano visibilmente inferiore a quella del maestro.
Funny Valentines, seconda serie, 66 carte di formato cm.8,8×6,5, disegnate al recto ed al verso, dove compare una “A” dopo la numerazione così da distinguerle dalla prima serie, 1960, Topps.
Sulle bustine compare la stessa immagine della serie precedente con l’aggiunta del vocabolo “new”.
Giant Funny Valentines, 55 carte di insolito formato cm.12×6,3, disegnate al recto ed al verso, 1961, Topps.
Sembra che quest’ultima serie sia stata ristampata nel 1966 con una leggera variazione di colore sul retro, arancio per le originali e rosso per le ristampe ma è una differenza pressoché impercettibile che metterebbe in dubbio l’esistenza stessa di riedizioni. Esistono effettivamente due tipi di bustine (non disegnate da Davis) con piccolissime varianti cromatiche ma di prezzo sempre identico (5 Centesimi), il che potrebbe confermare che non esistano riedizioni ma solo correzioni in fase di stampa. Una ristampa è stata sicuramente realizzate per il mercato canadese, in cartoncino grigio anziché bianco e riporta la dicitura “PRTD IN CANADA”.
Dracula’s Greatest Hits, foglio con 15 cards fustellate in bianco e nero contenuto all’interno dell’omonimo album di Gene Moss con canzoni ispirate a soggetti orrorifici, 1964, RCA. Attenzione! Alcuni di questi vinili con le loro bellissime cover sono ancora reperibili ma il folder è difficilissimo da trovare integro; dunque ne sono state realizzate delle ottime copie, con tanto di perforazione ai margini delle cards. Se si è interessati all’originale bisogna avere la possibilità di osservare l’oggetto dal vero per constatarne la presenza dell’ingiallimento o di altri difetti dovuti al tempo.
Nota aggiunta ad Aprile 2015 ( l’articolo è stato postato il giusto un anno prima): la storia Foul Play! di cui si parla all’inizio del pezzo è finalmente edita in Italiano nel volume n.4 della serie The Haunt of Fear della 001 Edizioni.
01. Diego Bosco
Ciao Giorgio!
Bell’articolo! Io avrei preferito e preferisco dare più attenzione al buon vecchio Jack nei suoi lavori prettamente horror, per via della maggior espressività viscerale dei macabri stati di paranoia che riesce a suscitare in quelle immagini. Le sue illustrazioni successive a cui hai fatto riferimento all’articolo sono sempre di ottima qualità, forse anche superiore ai disegni dell’EC, la maggior parte dei quali doveva essere di produzione più veloce e industriale per seguire le uscite periodiche della fanzine.. Tuttavia quando diventa più ironico perde un po il suo potere cinestetico di inquietare il lettore. Alcune cose di MAD sono quasi noiose e non prendevano come TALES FROM THE CRYPT, ecc… Le illustrazioni di san Valentino invece sono molto belle, divertenti e anche inquietanti!! 😀 Sono contento che me le hai fatte conoscere! Forse era meglio se pubblicavi fronte-retro, fronte-retro, come avevi iniziato nelle prime immagini pubblicate in questo articolo.
Un ultima cosa.. Forse trovo un po eccessiva la presentazione iniziale “la più grande leggenda vivente nel mondo del fumetto”… Sicuramente uno dei fumettisti più meritevoli e che avrebbero meritato molta più fama di altri famosissimi, da super eroi, quanto dozzinali.
Jack ha questo segno unico, che per il tratteggio incrociato ricorda anche un po i manga giapponesi da maschietti, quelli più violenti come KEN, BERSERK, ecc… Ma la china di Jack cade sulla carta come mossa da un entità superiore, crea dei disegni nei segni, dalla precisione incredibile.. Come se una tavola da dieci centimetri fosse in realtà grande un metro, o realizzata a microscopio!! Davvero qualcosa di incredibile!
02. Giorgio Perlini
Grazie Diego! Mi fa piacere sapere che Jack Davis piace così tanto anche ad altri lettori italiani. Condivido il tuo entusiasmo per Tales from the Crypt, e credo che questo testimoni la forza espressiva di Davis in tutti i generi in cui si è cimentato. Probabilmente nel sito comparirà ancora qualcosa su di lui.