Se la fantascienza italiana deve trent’ anni ( 1960 – 1990 ) di immagini a Karel Thole, artista a cui dedicheremo l’articolo nel prossimo numero di AAA, quella americana deve un analogo arco di tempo, però collocato più indietro ( 1935 – 1965 ) a Virgil Finlay. Con la differenza che per Thole si configurò un totalitarismo artistico involontario che poco o nulla concesse ad altri disegnatori, mentre il caso Finlay si collocò in una sorta di oligarchia, poiché, per quanto egli fosse produttivo ( sono state conteggiate 2656 illustrazioni in bianco e nero e 212 copertine ) la proliferazione di riviste “pulp” e relativi racconti fu davvero sterminata, superiore alle forze di un solo illustratore. Resta il fatto che gli altri ( Hannes Bok, Stephen Fabian, Frank Utpatel, Lawrence Sterne Stevens) furono oscurati dalla luce della cometa di Finlay, tutti tranne forse Margaret Brundage, caso poco comune di autrice femminile legata a tematiche ritenute prevalentemente interesse degli uomini, e oggetto di culto da parte di alcuni fan.
Per comprendere bene l’operato di Finlay è necessario introdurre, seppur brevemente, il concetto di “pulp”, su cui il geniale e divertentissimo recupero cinematografico operato da Tarantino ha rischiato di confondere le idee a noi italiani che il fenomeno non l’abbiamo vissuto. Le riviste “pulp” erano periodici statunitensi a cadenza per lo più mensile che proponevano storie a forti tinte, ai limiti della poco tollerante censura dell’epoca. Si rivolgevano ad un pubblico adolescente o poco più, un po’ribelle, come lo è sempre la gioventù, e presumibilmente squattrinato, dunque dovevano essere economiche. Ecco l’origine del termine “pulp” che indica la “polpa”, cioè la parte meno nobile della pasta ricavata dal legno, granulosa, friabile, troppo assorbente e poco duratura, contraltare della ben più elegante cellulosa usata per le costose riviste patinate. L’epoca è quella compresa tra l’inizio degli anni Venti ed il secondo dopoguerra, poi le tematiche macabre e d’evasione fantastica passarono ai fumetti della E.C. e al cinema delle “matinée”, maratone fanta-horror mattutine, piazzate nei fine settimana, che tanta influenza esercitarono su Stephen King ed i futuri registi Joe Dante, John Landis e Stephen Spielberg.
forti o Stephen Spielberg. te, John Landis passarono ai fumetti della E.C. e al cinema delle Matinèè, che tanta influenza eserciFinlay iniziò appena ventunenne la sua collaborazione con le riviste “pulp” dedicate alla fantascienza, al terrore ed al bizzarro in generale ( Argosy, Weird Tales, Amazing Stories, Famous Fantastic Mysteries, Galaxy ) ed immediatamente ricevette il plauso di lettori che hanno scritto fino alla fine lettere di elogio alle redazioni per colui che riusciva nel difficile compito di mostrare in disegno ciò che spesso funziona solo se suggerito con le parole.
Molti sono gli elementi che l’artista univa per la riuscita alchimia delle sue opere, e non tutti espliciti, anzi spesso suggeriti, forse inconsapevolmente, a livello subliminale. Cominciamo da ciò che è evidente; tutte le sue immagini vertono sul senso del meraviglioso, di una realtà fuori dal comune eppure calata dentro ad un’apparenza concreta, quasi domestica. Per evocare questo stupore Finaly si serve di piccole forme modulari, belle di sapone, pallini dai contorni luminosi, fiori dalle corolle aperte, cristalli che moltiplicano prismaticamente le figure. A volte l’elemento dominante è costituito da cerchi concentrici, che veicolano il mesmerismo o l’ipnosi ( vedi l’immagine per il racconto di Garret Smith Between worlds ), altre volte compaiono perfino dei funghi, a pallini anch’essi, contorno allucinatorio di corpi femminili seminudi abbandonati all’estasi. Questi elementi, sovrapposti ad immagini anche concrete, che Finlay copiava da riviste, libri d’arte ( si citano spesso figure riprese dalla statuaria classica ), e fotografie in generale, trasportano il vero in una dimensione altra, dove prevale il nero se l’illustrazione si riferisce ad un racconto horror ed il bianco luminescente se il racconto è fantascientifico. Poco importa se gli stessi modelli ricorrono in più disegni, tanto si trattava di opere distanti nel tempo che il lettore non avrebbe avuto modo di vedere vicine. Allo stesso modo nessuno si accorgeva che l’illuminazione dei soggetti che compongono lo stesso disegno non è coerente ( le foto a cui l’artista attingeva erano molto differenti ) perché l’abilità compositiva è grande, e l’attenzione si concentra là dove vuole l’illustratore, spesso sull’incredibile resa della brillantezza, dovuta ad una tecnica certosina che prevede l’uso di uno strumento poco conosciuto in Italia, lo “scratchboard”. Si tratta di un foglio studiato per essere prima inchiostrato e poi graffiato, come se si disegnasse col bianco. Finlay lo usava con doppia valenza, graffiandolo come vuole il sistema ortodosso ma anche disegnando col nero sulle zone bianche, in particolare quando lo riempiva di puntini, realizzati con una penna litografica 290, dunque una punta sottilissima, che veniva bagnata nell’inchiostro e poi avvicinata al foglio senza arrivare al contatto, lasciando che la sola goccia toccasse la superficie. Dopodiché tornava ad immergere la penna per realizzare il puntino successivo. Il chiaroscuro, scomposto in punti, rende la massima vibrazione luminosa, e Finlay, usando il solo inchiostro nero, riesce ad ottenere una gamma di grigi che ha dell’incredibile ( si osservi l’illustrazione per Skull face di Robert E. Howard, con il contrasto tra il nero macabro del primo piano ed il morbido grigio del volto femminile, “semplicemente” ottenuti variando l’intensità dei puntini bianchi ). Insomma, tornando ad uno dei concetti da cui siamo partiti, una tecnica rifinitissima per mostrare l’indefinito. Il tempo esecutivo medio per una tavola era di ben cinque giorni ma il risultato era così nitido che neanche la stampa approssimativa dei “pulp” riusciva più di tanto a compromettere. E per stare ancora sul sicuro Finaly eseguiva i disegni delle stesse dimensioni previste per la stampa, onde evitare ingrandimenti o riduzioni che ne avrebbero inficiato la qualità.
L’elemento subliminale a cui facevamo riferimento, che si mescola agli altri descritti ma diventa determinante, è quello erotico; le figure femminili di Finlay, già di per sé parecchio procaci, sono spesso associate ad elementi che pur rappresentando qualcosa di funzionale per la storia che illustrano, veicolano ben altri pensieri. Le immagini per The green blood of Treachery di Willard Hawkins e per The door di Eric Frank Russell si commentano da sole. Certo ad uno sguardo troppo veloce il nesso può sfuggire, non per niente il termine giusto è proprio “subliminale”, ma osservate con calma rivelano significati nascosti inequivocabili. Ciò che non sappiamo è se l’artista agisse inconsciamente o se lo facesse con cognizione di causa, magari per aggirare la censura. Resta il fatto che una tecnica esecutiva così pulita e matematica (che potremmo definire neoclassica) viene messa al servizio di temi misteriosi e passionali (romantici) e che il successo di questo connubio fu totale, un successo non solo tra i lettori ma anche tra gli scrittori che pubblicavano sui “pulp”, i quali speravano di leggere i loro racconti accompagnati da immagini di Finlay (Howard Phillips Lovecraft gli dedicò anche un sonetto). Sembra addirittura che più di una volta siano state le sue immagini a fornire spunto per scrivere storie fantastiche, ribaltando quel rapporto canonico dove l’illustratore arriva sempre per secondo e rende omaggio, onorato del confronto, al genio della scrittura.
In Italia esiste un solo libro, veramente ben fatto, su Virgil Finlay. E’ il primo dell’elenco sotto riportato e purtroppo è di difficile reperimento. Esistono poi sette volumi curati dal collezionista Gerry de la Ree, rarissimi e molto costosi. Si consiglia a chi volesse possedere una bella collezione delle opere senza ricorrere ai vari portfolio, più o meno pirati e stampati in modo poco curato, una serie americana di quattro volumi, contenuti nel prezzo e forniti di una ricca antologia di disegni in bianco e nero.
Alle opere a colori non è mai stato dedicato un catalogo e gli appassionati debbono dedicarsi alla ricerca delle copertine originali. Tali immagini però, per quanto d’effetto, non raggiungono il livello di quelle in bianco e nero, né per la forza evocativa né per la perizia tecnica.
Per i più facoltosi, ma in generale per la curiosità di tutti, si segnala che sul noto sito-asta Ebay, al “nick name” del venditore “inamorata” risponde Lail Finlay, la figlia dell’artista, che mette all’incanto bozzetti e qualche volta anche tavole definitive di suo padre.icile reperimento ento
Virgil Finlay – Bellezza, Terrore, Fantascienza, a cura di Giuseppe Lippi, Mazzotta, 1981, volume cartonato con sovracoperta, in quarto.
Virgil Finlay’s Strange Science, Underwood-Miller, 1992, in edizione sia brossurata che cartonata con sovracoperta, in quarto.
Virgil Finlay’s Women of the Ages, Underwood-Miller, 1992, medesime caratteristiche del precedente.
Virgil Finlay’s Phantasms, Underwood-Miller, 1993, medesime caratteristiche del precedente.
Virgil Finlay’s Far Beyond, Underwood-Miller, 1994, medesime caratteristiche del precedente.
Biografia:
Virgil Warden Finlay è nato a Rochester (New York) nel 1914. Frequenta la John Marshall High School e poi il Rochester Memorial Art College dove si applica con dedizione al disegno, usando tutte le tecniche e perfezionando quella tecnica dello “scratchboard”. Nel 1935 il periodico Weird Tales pubblica i suoi primi sei disegni e da lì in poi le collaborazioni con le riviste “pulp”, costituiranno gran parte del lavoro dell’artista benché i rapporti con gli editori non siano sempre idilliaci ed il lavoro non sempre giustamente retribuito. Nel 1938 Finlay inizia anche a disegnare per The American Weekly, testata per la quale eseguirà quasi novecento immagini. Durante la seconda guerra mondiale Finlay viene mandato a combattere ad Okinawa e anche l’esercito sfrutta la sua abilità di disegnatore incaricandolo di realizzare manifesti di propaganda.
Tornato a casa riprende, con gioia di lettori e scrittori, il lavoro per i “pulp”, trascorrendo praticamente tutto il suo tempo al tavolo da disegno, sedici ore al giorno per sette giorni alla settimana.
Nel 1953 i suoi disegni in bianco e nero gli fanno vincere il premio Hugo come miglior illustratore.
Nel 1956, dopo la fine dei “pulp”, Finlay presta il suo talento ai periodici astrologici (Your Daily Horoscope, Everywoman’s Daily Horoscope, Astrology ), producendo immagini tecnicamente sempre di ottimo livello ma poeticamente inferiori e meno partecipate di quelle per i racconti fantastici ed orrorifici. Nello stesso anno esce The Complete Book of Space Travel di Albro Gaul, dove l’artista ha l’opportunità di tornare alle tematiche spaziali realizzando così alcune tavole meravigliose, sia per tecnica che per sentimento. Nel 1964 sfuma un progetto che avrebbe fatto la gioia di migliaia di appassionati di letteratura fantasy, l’illustrazione de Lo Hobbit ; Tolkien, caso unico tra tutti gli scrittori che si avvalsero dell’opera del maestro, non apprezza le tavole di prova e rifiuta la collaborazione.
Nel 1969 l’artista si ammala e nel 1971 muore di cancro. In quello stesso anno prende il via la pubblicazione di numerosi testi dedicati al suo talento.
Apparso su AEROART ACTION n.5 del 2010
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