E’ opinione diffusa tra esperti e collezionisti di libri illustrati che il periodo di massimo splendore del genere sia collocabile nei primi sei o sette anni del XX Secolo. All’epoca due massimi disegnatori e due note case editrici rivaleggiavano nella capitale britannica a suon di gift books. L’ inglese Arthur Rackham ed il francese Edmond Dulac realizzarono opere meravigliose, principalmente rivolte ad un pubblico fanciullesco. I loro editori, Hodder & Stougthon e Heinemann, si spartirono il mercato di quella borghesia così facoltosa da potersi permettere non solo l’acquisto di libri, ma di pensare che poteva essere un investimento culturale per la loro figliolanza crescere sfogliando libri con le figure a colori. In effetti i due grandi disegnatori in quegli anni vissero in stato di grazia, ma credo che l’epoca più interessante e fitta di capolavori, vada individuata nel decennio successivo, il secondo del Novecento, quando si introdusse in mezzo alla loro querelle artistica un giovanotto arrivato dall’Ungheria, che prese a lavorare con una terza casa editrice le cui pubblicazioni si rivolgevano ai genitori di quella figliolanza di cui sopra.
Tutti i collezionisti italiani sanno chi è Rackham – e bramano per il possesso dei suoi libri – alcuni sanno chi è Dulac, quasi nessuno sa chi sia Willy Pogany (*). Eppure Pogany fu il principe dell’illustrazione colta, coacervo intellettuale di tendenze novecentesche e citazioni passatiste. Procediamo con ordine.
William Andrew Pogany fu un disegnatore ungherese che si spostò a vivere a Parigi, poi a Londra ed in fine a New York. Negli anni londinesi, dal 1910 al 1913, produsse quattro capolavori, uno all’anno, illustrando The Rime of Ancient Mariner di Samuel Taylor Coleridge ed una trilogia wagneriana composta dal Thannauser, Parsifal ed infine Lohengrin (**), tutti editi da George Harrap e mai più ristampati, se non pochi anni dopo dall’americano Doran in formato ridotto ed aspetto complessivo poco sontuoso. Dopo il grande successo di queste opere la sua carriera proseguì con una varietà di illustrazioni (circa 150 volumi!), non solo per i libri ma anche per la pubblicità ed il cinema (Karl Freund lo volle nel 1932 come art director del film con la celeberrima mummia interpretata da Boris Karloff, ancora oggi la più bella delle infinite versioni ispirate al racconto di Conan Doyle), e gli vennero commissionate le decorazioni parietali di importanti istituzioni americane. Scrisse e disegnò alcuni dei migliori manuali teorico-pratici sul disegno e sulla pittura, passando in rassegna tutte le tecniche, dalla matita all’inchiostro, dall’acquerello alla pittura ad olio, basati su di una personalissima rivisitazione del classicismo attualizzato per un pubblico giunto fino agli anni Quaranta ma validi anche oggi.
Descriverò in questa sede il solo libro di Coleridge, seppure il discorso risulti valido per gli altri tre libri citati, anzi, questa prima opera fu una sorta di sperimentazione per le successive, nelle quali Pogany raggiunse la piena maturità artistica. Parto dalla convinzione che Pogany non si prefisse di illustrare nel senso di rendere fedelmente, e neanche di interpretare portando un nuovo punto di vista, bensì di competere in lirismo, eleganza e suggestione con il testo. Prima di lui almeno due artisti importanti si erano cimentati a distanza di tredici anni l’uno dall’altro nell’impresa di rendere in immagini la poesia di Coleridge, Joseph Noel Paton (1863) e Gustave Dorè (1876). I loro contributi furono di altissimo livello, Paton rilesse l’opera in chiave neoclassica, con poche linee sul nitore dominante del foglio, Dorè viceversa diede la sua lettura come opera al nero, con incisioni tenebrose, dense di chiaroscuro. Pogany, per contingenze dovute all’epoca e per gusto personale, non si arenò sul conflitto Neoclassico-Romantico, elaborando uno stile che fosse narrativo e simbolico al tempo stesso. La ballata del vecchio marinaio si serve del racconto avventuroso di un uomo di mare per esortare al rispetto ed all’amore verso vita di ogni creatura, in quanto voluta da Dio. Coleridge ricorre ad un linguaggio comune, non nel senso di “basso” ma nell’accezione di “appartenente a tutti gli uomini”, privo di quegli artifici poetici che solitamente contraddistinguono i versi dalla prosa, sforzandosi di restare così naturale anche quando, nelle stanze intermedie, il soggetto prende la svolta onirica. Pogany al contrario adotta uno stile così colto da non essere proprio per tutti. In linea di massima si tratta di Liberty, ma non quello piacevolmente limpido dei manifesti, bensì un denso procedere di segni sedimentati sulla cultura decadentista e simbolista, più vicini in verità a Poe, o Baudelaire che alla poetica dei lake poets. Le sue tavole raccontano più di quanto non faccia il testo, mettono in scene situazioni complesse dove i personaggi si aggrovigliano, e del groviglio descrivono particolari, scavano nel nascosto, aggiungono dettagli preziosi. Il tutto risulta microscopicamente leggibile ma non sempre univoco nell’interpretazione. C’è del misticismo esoterico in Pogany e non solo a motivo dei testi illustrati. L’artista prende spunto dalle parole, le costringe all’interno di disegni quasi magici e crea delle immagini che hanno una vita propria, che si anima bene svincolata dal contesto in cui sono state prodotte; in questo modo le parole virano in un commento alle figure. Già, diventano libri di figure per le quali è stata costruita una storia. E che libri! Volumi in carta pesante, in formato folio, rilegati in percalline impresse a secco a più colori e dorate secondo la moda dell’epoca, ma impreziositi secondo il gusto di Pogany con virtuosismi calligrafici e convivenza di tecniche, facendo del libro un sontuoso oggetto d’arte, discendente dei preziosissimi codici miniati rinascimentali e, in seconda battuta, della filosofia Ars and Craft teorizzata da William Morris. E tutto questo per l’edizione considerata “trade”, mentre quella di lusso, con copertina differente, viene realizzata in 525 copie numerate e firmate dall’artista, rilegate in pelle (ne esiste anche una tiratura di soli 25 esemplari stampati su pergamena, ogni tanto ne compare uno in rete, se vi capita di incrociarlo sgranate gli occhi ma non guardate il prezzo). Il testo non viene composto tipograficamente ma trascritto interamente a mano, in due differenti tipologie di caratteri elaborati meditando sui codici medievali, il libro di Kells, ed il lettering dell’ art nouveau; il tutto per mano dello stesso artista che così riesce a far prevalere l’aspetto grafico della pagina anche quando non compaiono figure. I colleghi di Pogany raramente si preoccuparono di pensare a quali caratteri sarebbero stati scelti per la parte tipografica del lavoro e di seguire la progettazione del libro intero, affidando l’incarico ad altre figure professionali e limitandosi comunque alle sole illustrazioni. Come Pogany pochi (tra l’altro quasi sempre italiani: Vittorio Grassi con il Dantis Amor, Amos Nattini con la “sua” mastodontica Divina Commedia, Duilio Cambellotti con i Fioretti di S.Francesco e le Favole di Trilussa) riuscirono nell’impresa.
Le illustrazioni vengono eseguite a china con un elaborato tratteggio, e spesso a due colori, verde e oro, viola e nero, verde e nero. Infine ci sono 20 tavole ad acquerello. Queste ultime sono stampate a parte con un processo di scomposizione tipografica in tre colori che sostituisce la tradizionale litografia e consente di riprodurre al meglio la gamma cromatica, poi tagliate ed incollate sulla pagina del libro solo da un lato dell’immagine, solitamente quello sinistro. L’intervento noto in inglese come “tipped in”, sembra sia un’ invenzione attribuibile a Carl Hentschel e venne usata in primis proprio per le tavole di Rackham e Dulac. Rispetto a questi due Pogany risulta minore nella resa delle tavole a colori: non raggiunge le raffinatezze dei quasi monocromi di Rackham e non si arrischia nelle gamme fredde e al contempo nebbiose di Dulac ma nei disegni a china ( e sopratutto in quelli in chiaroscuro a matita e pastelli degli ecletticissimi volumi wagneriani) supera entrambi i maestri.
“Illustrare” significa “dare lustro”, cioè conferire la luce, illuminare. E una volta folgorati dal bagliore dei disegni di Willy Pogany si ha proprio l’impressione che senza di essi i versi sarebbero “bui”, perfino quelli del sommo Coleridge.
(*) Purtroppo, a causa delle opere da lui illustrate, ritenute poco congeniali ai potenziali lettori italiani, l’Istituto Italiano di Arti Grafiche di Bergamo che ebbe il merito di editare in Italia Rackham e Dulac (in volumi oggi ricercati quasi più delle prime edizioni inglesi in quanto stampati al livello massimo delle possibilità dell’epoca) non presentarono mai Pogany, né mai si preoccupò di scriverne il lungimirante critico Vittorio Pica sulla rivista Emporium, come fece pioneristicamente con Rackham.
(**) Deve esserci stata tra Pogany e Rackham (e soprattutto tra i loro editori) una vera sfida; mentre il primo si trovava al lavoro su detta trilogia wagneriana anche l’altro illustrava Richard Wagner prestando i pennelli al ciclo dei Nibelunghi con The Rhinegold & The Valkyrie (1910) e Siegfried & The Twilight of the Gods (1911).
01. Luisa
Ciao Giorgio, ti ringrazio per questo meraviglioso contributo al tentativo di tamponamento della mia ignoranza in materia di libri illustrati. Meraviglioso contributo, di cui mi gioverò soprattutto per la parte illustrativa, come tutti i “piccoli” mi soffermo sulle FIGURE….. ( la parte critica interessantissima conferma la mia stima e quella dei tuoi allievi/e)
Scusa , ma ora mi chiedo:”Va bene che sei un uomo …ecc ma dove lo trovi il tempo per tutte le cose di cui ti occupi? E tutte di valore! Basta complimenti, comunque interessante la tua pittura grazie, ciao e a presto. Luisa B .
02. Giorgio Perlini
Grazie mille Luisa! Il tempo debbo ammettere di averlo trovato proprio grazie alla famiglia, che collabora apprezzando tutto e a volte sopporta con pazienza di venire un po’ trascurata. I figli sono ormai “grandi” e ciò che hai visto è frutto solo degli ultimi anni, quando ho ricominciato a coltivare certe passioni con l’impegno di un vero lavoro, divertente ma pur sempre lavoro. Spero di sentirti ancora e di poter tornare a sbirciare certi disegnini che mi ricordo di averti visto eseguire in diretta durante gli esami di maturità.
03. Sara Bianchini
Magnifico libro, unico tra i volumi più belli di Pogany che ancora manca nella mia collezione. Spero di trovare presto l’occasione giusta per colmare questa lacuna.
04. Giorgio Perlini
Cara Sara, il libro è difficile da reperire sul mercato Italiano ma cercando all’estero (Inghilterra ed America) non è poi così raro e dovresti riuscire nell’intento. Buona fortuna!
05. Maria Gioia Tavoni
Bellissima voce, completa, come si converrebbe a molti artisti che discettano d’arte. Peccato non averla potuta leggere per citarla nel mio ultimo volume dove ho un capitolo sulle “nicchie” nella storia del libro. Se dovesse pubblicarla o l’avesse gia’ edita
la pregherei di darmi le coordinate per riuscire, in una eventuale nuova edizione, a farne oggetto di un paragrafo
06. Giorgio Perlini
Cara Gioia, ti ringrazio per la stima. L’articolo non è stato mai pubblicato in cartaceo, se ti interessa te lo invio in formato word così lo inserisci dove vuoi (bisognerà però provvedere alle foto). Sono sempre molto lieto di collaborare ad iniziative come la tua, chiedo solo che compaia l’autore dell’articolo. A presto. Giorgio