di Giorgio Perlini
Alcuni degli editori per i quali ho scritto o disegnato sostengono che una bella copertina è capace di far impennare le vendite d’una percentuale che può arrivare fino al quaranta per cento. Pare che la cosa funzioni per libri e riviste come anche per il cinema tramite l’immagine del manifesto. Il principio doveva essere noto anche in passato perché certi libri antichi verrebbe voglia di acquistarli subito appena vista la copertina (se non fosse che oggi, come allora, c’è il deterrente del prezzo). Quante volte m’è capitato di gettarmi a sfogliare un libro attratto da una splendida immagine di copertina per restare deluso dalla mediocrità delle figure interne. Il libro Jeanne d’Arc delle edizioni Boivin di Parigi, illustrato da Octave Denis Victor Guillonnet su testi di Frantz Funck Brentano si presenta con una delle copertina più belle che io conosca e per fortuna mantiene la promessa ad ogni pagina. Sulla campitura in tela beige battuta a secco si staglia Giovanna, docile se pure in armatura, atteggiata come Gesù crocifisso, inserita dentro ad una croce fiorita di gigli di Francia dorati; la croce evoca la silhouette della spada rivolta verso il basso, i fiori richiamano le fiamme del rogo. Un’immagine di imitatio Christi commovente, col destino della ragazza già dichiarato prima di aprire il volume. Poco importa l’incertezza anatomica con cui viene delineata la mano destra della figura, così come non convince la forma della corazza tra l’ascella e la spalla; dettagli di poco conto nell’ efficacia della composizione generale. Nell’ angolo in alto a destra, tra titolo e croce, un cartiglio riporta le date di nascita e morte di Giovanna, 1412 e 1431. L’impatto di quella copertina è fortissimo tanto è delicato il tema affrontato ( 1 ).
Guillonnet ( 1872 – 1967) era un dotato pittore che trovò la strada dell’arte applicata diventando celebre come decoratore d’interni – anche all’ estero – ed in minor misura come illustratore. Tra i suoi insegnanti vi fu Fernand Cormon che gli trasmise la passione per la drammatizzazione dei soggetti storici. All’ epoca del libro in questione Guillonnet era già attivo come illustratore: nel 1910 aveva relizzato le tavole per L’Aiglon e Chantecler, entrambi di Edmond Rostan ma non aveva agito da solo e la gloria era stata condivisa con altri artisti. Inoltre le illustrazioni, in bianco e nero o in bicromia, non rendevano piena giustizia al suo operato. Un anno prima gli erano stati affidati L’Arlesienne e La mule du Pape di Alphonse Daudet, sempre in bianco e nero ma con dorature. Lavori raffinatissimi, peccato però che l’edizione fosse brossurata e dotata di sole 27 tavole. Finalmente giunge l’occasione per dimostrare tutta la bravura – ed anche un certo guizzo di genio – di cui era capace, con un volume di lusso su Giovanna d’Arco. Il libro venne mandato alle stampe nel 1912 in occasione del quinto centenario della nascita nella Santa, caduto pochi anni dopo la sua canonizzazione, avvenuta nel 1909, poi fu ristampato dopo la definitiva santificazione e la proclamazione a patrona nazionale (1920) e nel 1931 per i cinquecento anni dalla sua morte. Il testo è opera di Frantz Funk Brentano, uno storico francese conosciuto per essere stato uno dei curatori della biblioteca dell’Arsenale di Parigi.
Guillonnet venne scelto non solo per essersi già distinto con i suddetti testi ma anche per la sua familiarità con il tema: aveva partecipato infatti nel 1892 al concorso per l’esecuzione delle vetrate della cattedrale di Saint Croix di Orleans (i cartoni sono oggi conservati all’ Hotel de Ville de Riom) sulla vita di Giovanna. Al Museo Mandet è inoltre custodito un pannello decorativo di sua mano con la Santa sulla pira. E se questo non bastasse, nella parete del coro della chiesa di Saint Etienne di Jargeau campeggia un affresco di Guillonnet con la pulzella a cavallo che sfila al cospetto delle Sante Margherita e Caterina d’Alessandria ( 2 ).
Circa le molteplici ispirazioni di Guillonnet è evidente quanto l’artista getti l’occhio sui modelli italiani, così nello sfoggio delle parate trionfali fa capolino Domenico Veneziano e nei grovigli di lance delle scene di battaglia troneggia il nume tutelare di Paolo Uccello. Inoltre bisogna tener presente che le opere di due illustri connazionali avevano già codificato l’aspetto della Santa nell’ immaginario francese e Guillnonet non poteva esserne immune; la prima è la scultura in bronzo dorato di Emmanuel Fremiet in Places des Pyramides che aveva elevato Giovanna alla costante ammirazione pubblica, l’altra il bellissimo libro del 1896 scritto ed illustrato da Louis Maurice Boutet de Monvel che aveva reso Giovanna carismatica ad un pubblico giovanissimo. Certo, innegabile l’influenza di tutti quanti ( 3 ). Ma sotto alle tavole di Guillonnet cova una nuova fiamma. I suoi acquerelli possiedono una cromia personale che va oltre il discorso della luminosità connaturata al mezzo per caratterizzarsi come un’accensione fantastica ed una dichiarazione d’autonomia espressiva del pittore che sembra risentire, pur calato nell’Art Nouveau, dei fermenti avanguardisti, in particolar modo quelli relativi all’Espressionismo. Così anche il disegno delle figure, piuttosto che marcare i confini in modo netto e continuo come il Liberty vorrebbe, viene lasciato trasparire al di sotto delle pennellate con moderna noncuranza, a mo’ di traccia di bozzetto e senza il cruccio del cancellare; inoltre il segno è tagliente e squadrato e richiama la destrutturazione cubista. Le tavole di Guillonnet sono un cosmo in movimento, linee diagonali attraversano ogni scena come dardi, le figure si spezzano con guizzi da saetta, un futurismo medievale cala su tutta l’opera, il rogo sulla piazza di Rouen incenerisce il passato per rivelare la visione aeroceleste di Giovanna. Seminati nelle illustrazioni numerosi messaggeri divini smaterializzati sembrano indicare la via di una nuova spazio-temporalità, la Santa è veramente profetessa, non solo in campo religioso ma anche artistico-culturale. Dunque a dispetto del tema storico il libro è decisamente moderno; però, si sa, le novità vanno presentate con cautela: la copertina goticheggiante, così come la legatura apparentemente artigianale, realizzata in cordino passante sul rinforzo delle pagine, appare strategicamente concepita come un appiglio rassicurante per i lettori più tradizionalisti. Chissà in quale misura sarà stata determinante quella copertina sulle vendite del volume; forse più del quaranta per cento attuale visto che le ristampe vennero editate con la medesima immagine, anche a vent’anni di distanza dalla prima edizione.
Jeanne d’Arc, di Frantz Funk Brentano e Octave Denis Victor Guillonnet, Boivin & Cie, 1912, copertina in percallina crema con inserti blu e oro realizzata da Engel di Parigi, formato in folio, tre tagli dorati, 40 tavole all’acquerello. Ristampato nel 1929 ed anche nel 1931 nel medesimo formato ma con il nome dell’editore, in originale assente, ai piedi della Santa a fianco di quello del rilegatore. Nel 1933 il libro venne dato nuovamente alle stampe narrato in lingua inglese da Viola Ruth Lowe (per le edizioni Grosset e Dunlap di New York e anche per la Whitman Publishing Co.) cambiando per la prima volta copertina e formato, e riducendo a 24 il numero delle illustrazioni.
(1) La tecnica con cui venivano realizzate le copertine a secco consisteva nel preparare un cliché metallico, solitamente di zinco, riportante titolo o immagine, con cui veniva pressato il cartone rivestito di tela del piatto frontale. Quasi sempre tali impressioni erano anche a colori, frequenti l’oro e l’argento, dunque una pellicola con pigmento trasferibile veniva introdotta tra la superficie di stampa e la matrice, opportunamente scaldata. Uno strato di distaccante ceroso consentiva al pigmento di abbandonare il supporto filmico, così come uno strato di collante, sciogliendosi, ne permetteva l’adesione sulla copertina. Nel caso più complesso in cui scritte ed immagini dovessero risultare non affossate bensì sbalzate la copertina veniva compressa tra cliché e controstampo.
(2) Trattasi di opera tarda, seppur in stile neo-medievale, eseguita nel 1952.
(3) A sua volta si direbbe che Guillonnet sia stato d’ispirazione per le luci ed i colori per i quali Victor Fleming vinse l’oscar nel suo Joan of Arc, per lo spettacolare caos guerresco di Luc Besson (The Messenger: the Story of Joan of Arc)e forse perfino per il capolavoro del 1938 di Carl Theodore Dreyer (La passion de Jeanne d’Arc), non certo per il senso di vuoto scenografico bensì per l’intensità di quei primi piani in cui lo sguardo della Falconetti appare così impaurito e spettrale.
L’articolo del 2015, originariamente destinato alla pubblicazione su questo sito, è stato inserito nel n.19 de Les Cahiers Guillonnet del Giugno 2020 intitolato “Guillonnet et l’Italie”. Qui di seguito se ne pubblica la traduzione operata dalla redazione francese.
Ce site se veut une histoire critique des livres illustrés.
Son animateur, Giorgio Perlini, écrit sous la rubrique Poids Lourd et avec pour titre :
Jeanne d’Arc et le feu de joie de l’apparence,
Victor Guillonnet entre modernité et logique de marché
Certains des éditeurs pour lesquels j’ai écrit affirment qu’une bonne couverture est capable d’augmenter les ventes de près de quarante pour cent. Il semble que cela fonctionne aussi bien pour les livres et les magazines que pour le cinéma à travers l’image de l’affiche. Ce principe devait être connu également dans le passé car certains livres anciens suscitent le désir d’être acheté au premier regard de la couverture (si ce n’était du fait qu’aujourd’hui, comme alors, il y a des prix dissuasifs). Combien de fois m’est-il arrivé de me jeter à travers un livre attiré par une splendide image de couverture et être déçu par la médiocrité des illustrations intérieures ? Le livre Jeanne d’Arc des éditions Boivin de Paris, illustré par Octave Denis Victor Guillonnet sur des textes de Frantz Funck-Brentano se présente avec l’une des plus belles couvertures que je connaisse et heureusement elle tient sa promesse à chaque page.
Jeanne se détache sur le fond de toile beige battue à sec, docile mais en armure, posée comme Jésus crucifié, insérée dans une croix fleurie de lys d’or, symbole de la monarchie française ; la croix évoque la silhouette de l’épée tournée vers le bas, les fleurs rappellent les flammes du bucher. La couverture, émouvante par son inspiration christique, annonce la fin réservée à l’héroïne avant même d’avoir ouvert le livre. L’incertitude anatomique avec laquelle se dessine la main droite de la figure n’a pas d’importance, tout comme la forme de l’armure entre l’aisselle et l’épaule qui n’est pas convaincante ; détails mineurs sur l’efficacité de la composition globale. Dans le coin supérieur droit, entre le titre et la croix, un rouleau de parchemin rappelle les dates de naissance et de décès de Jeanne d’Arc, 1412 et 1431. L’impact de cette couverture est très puissant, au titre du thème délicat abordé (1).
Guillonnet (1872 – 1967) était un peintre doué qui a trouvé sa voie dans l’art appliqué en tant que décorateur d’intérieur – en France et à l’étranger – et dans une moindre mesure en tant qu’illustrateur. Parmi ses professeurs figurait Fernand Cormon qui lui a transmis la passion de la dramatisation des sujets historiques. A l’époque du livre en question, Guillonnet était déjà actif en tant qu’illustrateur : en 1910, il avait créé les planches pour L’Aiglon et Chantecler, tous deux d’Edmond Rostand mais il n’avait pas agi seul et la gloire avait été partagée avec d’autres artistes. De plus, les illustrations, en noir et blanc ou en bichromie, ne rendaient pas pleinement justice à son travail. Un an plus tôt, il s’était vu confier L’Arlésienne et La mule du Pape par Alphonse Daudet, toujours en noir et blanc mais avec dorure. Œuvres très raffinées, mais il est dommage que l’édition soit de poche et équipée de seulement 27 planches. Enfin, l’occasion se présente de démontrer toute l’habileté – et même un certain éclair de génie – dont il était capable, avec un volume luxueux sur Jeanne d’Arc. Le livre fut envoyé à la presse en 1912 à l’occasion du cinquième centenaire de la naissance de la sainte, et ce, après quelques années de sa béatification en 1909. Il fut réimprimé après la canonisation définitive (1920) et la proclamation par le pape Pie XI (1922) Jeanne d’Arc sainte patronne secondaire de la France. Enfin en 1931 pour les cinq cents ans de sa mort. Le texte est l’œuvre de Frantz Funk Brentano, un historien français connu pour être l’un des conservateurs de la bibliothèque de l’Arsenal de Paris.
Guillonnet a été choisi non seulement pour s’être déjà distingué avec les textes susmentionnés mais aussi pour sa familiarité avec le thème : il avait en effet participé au concours pour l’exécution des vitraux de la cathédrale Sainte-Croix d’Orléans en 1892 (les cartons sur Jeanne d’Arc sont désormais conservés au musée Mandet de Riom). Au Musée Mandet, il y a aussi un panneau décoratif de sa main avec la Sainte sur le bûcher. Et si cela ne suffisait pas, sur le mur du chœur de l’église Saint Etienne de Jargeau se dresse une fresque de Guillonnet avec la jeune fille à cheval défilant en présence des saints Marguerite et Catherine d’Alexandrie (2).
(1) La technique de fabrication des couvertures sèches consistait à préparer un cliché métallique, généralement en zinc, portant le titre ou l’image, avec lequel le carton recouvert de toile de la plaque avant était pressé. Presque toujours, ces impressions étaient également en couleur, souvent en or et en argent, par conséquent un film avec un pigment transférable a été introduit entre la surface d’impression et la matrice, chauffé de manière appropriée. Une couche d’agent de démoulage cireux a permis au pigment de quitter le support filmique, ainsi qu’une couche de colle, se dissolvant, lui permettant d’adhérer à la couverture. Dans le cas plus complexe où les écritures et les images n’étaient pas coulées mais en relief, la couverture était comprimée entre cliché et contre-impression.
(2) Il s’agit d’une œuvre tardive, quoique de style néo-médiéval, exécutée en 1952.
En ce qui concerne les nombreuses inspirations de Guillonnet, il est évident que l’artiste a puisé dans les modèles italiens. Ainsi, pour la représentation des défilés triomphaux, chez Domenico Veneziano ou pour les enchevêtrements de lances des scènes de bataille chez Paolo Uccello.
En outre, il faut garder à l’esprit que les œuvres de deux illustres compatriotes avaient déjà codifié l’apparition de la Sainte dans l’imaginaire français et Guillonnet ne pouvait en être à l’abri ; le premier est la sculpture en bronze doré d’Emmanuel Fremiet pour la Places des Pyramides à Paris qui avait élevé Jeanne à l’admiration constante du public ; l’autre, le beau livre paru en 1896 écrit et illustré par Louis-Maurice Boutet de Monvel qui avait rendu Jeanne charismatique auprès d’un très jeune public. Bien entendu, l’influence de tous est indéniable (3).
(3) À son tour, il semble que Guillonnet ait été l’inspiration pour les lumières et les couleurs pour lesquelles Victor Fleming a remporté l’Oscar avec sa Jeanne d’Arc, pour le spectaculaire chaos guerrier de Luc Besson (Le Messager : l’histoire de Jeanne d’Arc) et peut-être même pour le chef-d’œuvre de 1938 de Carl Théodore Dreyer (La passion de Jeanne d’Arc), certainement pas pour le sens du vide scénographique mais pour l’intensité de ses gros plans dans lesquels le regard de Falconetti lui semble si effrayé et fantomatique.
Mais sous les illustrations de Guillonnet il y a une nouvelle flamme. Ses aquarelles ont une couleur personnelle qui dépasse le discours de la luminosité inhérente au médium pour se caractériser comme un éclairage fantastique et une déclaration d’autonomie expressive du peintre qui semble être affecté, même s’il est plongé dans l’Art nouveau, par les ferments d’avant-garde, en particulier ceux liés à l’expressionnisme. Ainsi le dessin des figures, plutôt que de marquer les frontières d’une manière claire et continue comme le voudrait la Liberté, est autorisé à briller sous les coups de pinceau avec une insouciance moderne, au moyen d’une trace d’esquisse et sans le souci d’effacer. De plus le signe est net et carré et rappelle la déconstruction cubiste. Les planches de Guillonnet sont un cosmos en mouvement, des lignes diagonales traversent chaque scène comme des fléchettes, les personnages rompent avec les éclairs, un futurisme médiéval s’abat sur l’ensemble de l’œuvre, le feu de la place de Rouen incinère le passé pour révéler la vision bleu ciel de Jeanne. Semé dans les illustrations de nombreux messages divins dématérialisés semblent indiquer la voie d’un nouvel espace-temporalité. La Sainte est véritablement une prophétesse, non seulement dans le domaine religieux mais aussi dans le domaine artistique-culturel.
Par conséquent, malgré le thème historique, le livre est résolument moderne ; cependant les nouveautés doivent être présentées avec prudence : la couverture gothique, ainsi que la reliure apparemment artisanale, faite d’une corde passant par le renfort des pages, apparaît stratégiquement conçue comme une prise rassurante pour les lecteurs plus traditionalistes. Qui sait dans quelle mesure cette couverture sur les ventes du volume aura été décisive ?
Giorgio Perlini
Nous adressons toutes nos félicitations à Giorgio Perlini pour cet aperçu aussi précis et complet de la Jeanne d’Arc de Guillonnet. Il nous semble nécessaire qu’un jour prochain celui-ci, ou un autre, poursuive son analyse à peine ébauchée (dans sa troisième note) sur les apports de Guillonnet aux maîtres du 3ème art.
Que Giorgio Perlini soit ici chaleureusement remercié de nous avoir autorisé à reproduire son article dans une traduction qui nous est personnelle.
Hervé Dubois
Jeanne d’Arc , par Frantz Funk Brentano et Octave Denis Victor Guillonnet, Boivin & Cie, 1912, couverture percaline crème avec inserts bleus et or réalisés par Engel de Paris, format in folio, trois coupes dorées, 40 planches aquarelles. Réimprimé en 1929 et également en 1931 dans le même format mais avec le nom de l’éditeur, dans l’original absent, au pied du Saint à côté de celui du relieur. En 1933, le livre fut réimprimé et raconté en anglais par Viola Ruth Lowe (pour les éditions Grosset et Dunlap de New York et aussi pour la Whitman Publishing Co.) changeant la couverture et le format pour la première fois, et réduisant le nombre d’illustrations à 24.
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