Anche se dubito che i miei studenti leggeranno mai quanto scritto qui di seguito, questo pezzo è dedicato a loro, in particolare a quelli che ogni tanto mi chiedono quale sia il gusto della ricerca e perché si dovrebbe perdere del tempo nel ricollegare dei frammenti di passato.
Scrivo di ritorno da meno di una settimana da un viaggio a Torino, particolarmente fruttuoso per la scoperta di tracce del Pasquino e del suo fondatore Casimiro Teja ( 1 ). Nato nel 1856, Il Pasquino è stato uno dei settimanali satirici più importanti d’Italia; imitato da molte altre testate si valse della presenza di autori dalla personalità forte, di cui Teja, scrittore e disegnatore, fu il leader. Sebbene io fossi a Torino anche per motivazioni collezionistiche, non ero in realtà alla ricerca del grande caricaturista e l’incontro è avvenuto al di fuori del tradizionale mercatino dei libri usati di Piazza Carlo Felice. E’ capitato nella bottega di un rigattiere, dove ho scovato una lastrina (cm. 8,5 x 5,3) di bronzo sporca ed ossidata, con la dicitura “Pasquino ai suoi amici abbonati 1856 – 1906”. Non è un’opera di valore artistico particolarmente elevato ma certamente trattasi di un oggetto abbastanza raro. Molto soddisfatto del reperimento (e del prezzo strappato al venditore a causa dell’apparente cattiva conservazione) ragionavo su come avrei provato a ricostruirne la storia e decifrarne la firma, appena visibile, ma il bello doveva ancora venire. Ignoravo infatti che esistesse un monumento a Casimiro Teja e che ci avrei praticamente sbattuto il naso davanti per recarmi nell’appartamento dove ero alloggiato. Questo monumento, piccolo, poco evidente, si trova ora in Piazza IV Marzo, un luogo folkloristico e pieno di vita che incastona abitazioni quasi medievali in isolati ottocenteschi, in buona compagnia di altre due opere, un bronzo, pure questo di dimensioni ridotte, dedicato a Alessandro Borella e la statua di Giovan Battista Bottero. Ho poi imparato che l’opera era collocata un tempo in Corso Cairoli e venne spostata nel 1923, credo con la logica di riunire tre personaggi che, seppure in modo differente, hanno portato un forte contributo al giornalismo risorgimentale. Il monumento è riconoscibile in quanto al di sopra del volto poco noto di Teja svetta la copia del Pasquino originale, quello romano. Racconto tutto questo perché è evidente che l’autore della targhetta si è ispirato a quello del monumento, eseguito nel 1903 e per il quale non esistono dubbi di paternità; trattasi infatti di Edoardo Rubino, torinese ed allievo del grandissimo ed oggi troppo poco celebrato Leonardo Bistolfi. La testa di Teja, ben conservata in quanto fusa nel bronzo, fuoriesce da una parallelepipedo marmoreo scolpito su tutti i lati ma purtroppo talmente consumato da risultare quasi illeggibile. A fatica, analizzando l’unica faccia dove il rilievo conserva ancora un minimo di spessore, si può identificare la scritta “dendo mor”, e risalire dunque all’originale “Castigat ridendo mores”( 2 ). La conferma giunge da una storica fotografia eseguita quando il monumento si trovava ancora nella collocazione originaria. Accompagna il motto un volto femminile dagli occhi verosimilmente stretti in un sorriso che regge tra le labbra quella che doveva essere una penna d’oca. Passiamo ora alla targhetta: al di sotto dell’effige di Pasquino (che compariva anche nella testata della rivista) una donna seminuda dall’acconciatura bipartita regge nella destra una penna d’oca mentre con l’altra mano impugna una corona spinosa di rose. Sembra evidente, in entrambi i casi, che se Pasquino è l’emblema maschile del genere satirico, ruvido ed un po’ consunto, la donna ne è la nuova personificazione femminile, attraente, profumata e pungente al tempo stesso. Certo la derivazione è quasi obbligatoria per l’epoca liberty e di ulteriori modelli potremmo citarne a bizzeffe, ma mi preme rammentarne uno in particolare: il manifesto del 1904 di Marcello Dudovich per i quarantadue anni della Gazzetta dell’Emilia (ed ancora un invito all’abbonamento), in cui un bel volto d’eterno feminino, con copricapo ottenuto drappeggiando la bandiera sabauda, tiene la penna in bocca. Perfino le linee verticali che scendono ai lati della testa sembrano riprese dagli steli dei due fiori che incorniciano il volto scolpito da Rubino. Dalla targhetta, ripulita con cura evitando di spatinarla, sono emersi due ulteriori dettagli significativi; un pennello ed un cavalluccio di carta ripiegata. Dunque non solo lo sferzare delle parole ma anche l’arguzia del disegno e la ribellione alle regole. Sì, perché quell’origami primitivo era un giochino praticato a scuola dagli studenti insofferenti. Nell’Album strenna del Giornalino della Domenica, datato 1908, vi è un disegno di Ugo Finozzi che ritrae Filiberto Scarpelli in caricatura a cavalcioni di uno di quei cavallini cartacei, seguito da una banda di scolari armati di lancia e pennino, tutti con cappellino pure ricavato piegando fogli di quaderno. Il titolo dell’illustrazione è “Il colonnello Scarpelli e il suo Stato maggiore”. Scarpelli, che spiritosamente si fregiava di alto grado al Giornalino, fu anche collaboratore del Pasquino, tanto per ribadire la circolarità dei fatti e delle idee. E giungo alla conclusione: nell’angolo opposto è incisa la firma dell’autore. Con la sola targa in mio possesso non sarei riuscito a decifrarla ma ho scovato in rete un altro esemplare, decisamente peggio conservato ma con firma più evidente. Alla luce di queste comparazioni posso affermare con sicurezza trattarsi di Celestino Fumagalli. Da ricerche incrociate su questo autore ignoto ai più, emergono non solo le origini torinesi, ma anche la sua attività di orafo (ecco spiegata l’abilità nel lavoro di cesello) e l’esistenza di una fonderia da lui diretta, nella quale devono essere state eseguite le placchette. Inoltre si rileva l’apprendistato, e qui il cerchio si chiude davvero, nella bottega di Leonardo Bistolfi, probabilmente qualche anno prima che vi passasse Rubino. Che soddisfazione giungere a certe soluzioni.
( 1 ) Casimiro Teja, nato a Torino nel 1830 ed ivi morto nel 1897, è stato un giornalista e disegnatore satirico anticlericale, critico dei costumi borghesi del suo tempo, la cui attività si è dipanata su molte riviste dell’epoca. Viene solitamente ricordato per essere l’autore del detto “Piove governo ladro!”. La frase viene infatti pronunciata per la prima volta in una sua vignetta del 1861 in cui la pioggia manda a monte una manifestazione di protesta antigovernativa da parte dei mazziniani.
( 2 ) L’adagio latino “castigat ridendo mores”, ovvero “corregge i costumi ridendo”, non deriva dall’antichità classica ma è invenzione dello scrittore francese Jean de Santeuil, vissuto nel XVII secolo. La frase era riferita all’interpretazione arlecchinesca di un attore italiano, Domenico Biancolelli, e dopo essere stata incisa sul basamento della statua di Arlecchino divenne il motto riportato sulla facciata di importanti teatri europei.
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