“Passa un giorno, passa un altro/Mai non torna il prode Anselmo/Perché egli era molto scaltro/Andò in guerra e mise l’elmo (…)”: mio padre ricordava questi versi senza riuscire a collocarli in un quadro specifico però rammentava che Anselmo era un Crociato non propriamente eroico ed il poema era buffo. Lo aveva letto da bambino, chissà in quale edizione. Perché il componimento, scritto da Giovanni Visconti Venosta ed intitolato La partenza del Crociato, risale al 1856 ed è stato dato alle stampe tante volte dato il successo riscosso; i personaggi comici suscitano simpatia e quando sono protagonisti di imprese che dovrebbero essere epiche sono amati ancora di più, magari per immedesimazione. Papà era del 1932, si era imbattuto nell’opera in periodo fascista o al massimo subito dopo la guerra, comunque in un’era in cui i cavalieri erano inevitabilmente valorosi ed il Crociato Anselmo, che soffre il mal di mare, che giunto a destinazione non può brindare a causa dei divieti del Corano e che successivamente muore di sete perché il suo elmo-bicchiere ha un foro, costituiva una presenza quasi sovversiva. La genesi dell’operetta è narrata dallo stesso autore, il quale dichiara di averla scritta in soccorso ad uno scolaro a cui era stato assegnato il compito di stendere un poemetto sulla conquista della Palestina ma si era arenato ai primi quattro versi, l’incipit che ricordava papà. Visconti Venosta, allora studente universitario a Pavia, agì con spirito di divertissement e completò l’operazione con altre sedici quartine, ignaro che quella sarebbe diventata la sua opera più celebre. La paternità non gli sfuggì mai di mano, anzi gli venne riconosciuta pure in certe occasioni in cui costituì fonte di imbarazzo (come l’esame di laurea) ma il componimento nel tempo crebbe e si modificò come una filastrocca popolare (1) e l’autore dovette lavorare per ricondurla al proprio operato originale. Del ragazzino autore della quartina di partenza invece non si sa nulla se non che entrò in seminario.
Ben compreso l’appeal sui giovani, i tanti editori hanno spesso richiesto il supporto di illustratori per visualizzare il prode Anselmo, mandando alle stampe versioni a volte opposte del personaggio: Livio Apolloni ne fa un tracagnotto fasciato di maglia ferrea, Aldo Mazza uno spilungone dal naso sporgente. Da questa ultima interpretazione deve aver preso spunto il misterioso Salbert, autore dell’edizione più bella eppure più ignorata, causa rarità, dell’operetta. Trattasi di quella in formato quadrotto delle Edizioni Cicogna, stampata senza data ma collocabile intorno all’immediato dopoguerra. In copertina il viso del prode Anselmo si accosta al muso del suo cavallo e lo spropositato naso a peperone del primo fa pendant all’anatomia allungata dell’equino. La similitudine è accentuata dalle protezioni metalliche indossate da entrambi. Al di sotto delle teste i foglietti di un calendario si perdono nel vento ad indicare il tempo che passa senza veder tornare il cavaliere. All’interno ogni quartina fronteggia una tavola ad acquerello in cui Salbert dimostra sicurezza d’esecuzione e conoscenze anatomiche approfondite nel tracciare uomini ed animali. La figura allampanata di Anselmo è di reminiscenza donchisciottesca e “la sua bella”, di cui ignoriamo il nome, rimanda ad una Dulcinea in versione castellana, anche lei fornita di un gran naso che spinge in direzione contraria a quello del fidanzato. Tra i due personaggi, anzi tre perché il cavallo ha un ruolo importantissimo nel servire e proteggere il padrone più di quanto farebbe un cane, c’è uno scambio di occhiate di intesa, una resa espressiva degna dello psicologo più raffinato, purtroppo inficiata da una stampa non ottimale, come succedeva nelle pubblicazioni dell’epoca, spesso quando a colori: le illustrazioni finiscono “fuori centro”, con l’effetto fastidioso del disegno sdoppiato. L’autore delle immagini rivela un’attenta conoscenza dell’operato dei colleghi dell’epoca; sa essere caricaturale ed allo stesso tempo realistico come Walter Molino (però il suo tratto è meno nervoso), ma anche plastico e sciolto come Libico Maraja (ma gli piace conservare la traccia del disegno intorno ai colori ed anche sotto di essi), ed osservando la rappresentazione dei sultani e degli scenari musulmani viene da pensare che anche lui abbia fatto parte della squadra impegnata nell’avventurosa realizzazione de La rosa di Bagdad (2). Le inquadrature ribassate lasciano abbondante spazio al cielo, le cui striature diventano fondamentali per evocare atmosfere diverse. Nelle ultime due illustrazioni l’aria si fa torrida e l’inseparabile coppia cavaliere/cavallo si accascia su se stessa rimpicciolendosi tra le sabbie. Però a fine poesia, a margine del testo stampato in caratteri gotici, una scritta “a mano” in rosso dichiara “Attenzione!! Avvertiamo che Anselmo viene miracolosamente salvato e ritorna. La vicenda è narrata ne Il ritorno del Crociato, illustrato da Salbert”. Così impariamo che, con buona pace di Giovanni Visconti Venosta e di tutti i suoi sforzi, la storia ha un seguito ufficiale, e il disegnatore ha quasi soppiantato l’autore dei versi. E questo Salbert deve avere una sua importanza perché nella pagina di chiusura del libro, quella con l’elenco delle pubblicazioni, quando si arriva ad elencare i volumi della “Piccola enciclopedia degli animali” si specifica che è “riccamente illustrata e descritta dal pittore Salbert”. Insomma, finché si tratta di soggetti grotteschi (cavalieri cristiani o musulmani che siano) Salbert è considerato illustratore, ma quando i soggetti diventano realistici (gli animali per una enciclopedia) allora può salire di rango e divenire pittore a tutti gli effetti.
Il ritorno del Crociato è un albo ancora più divertente del primo, con in copertina Anselmo al galoppo che si lascia alle spalle lo svolazzo dei soliti foglietti del calendario. Il nome del disegnatore è ben visibile fin dalla copertina, quello del poeta è scomparso e l’interno del volume riporta la dicitura “Scritto ed illustrato da Salbert”. Questa volta le quartine sono 42, sempre con immagini a fronte ma più liberamente inserite nella pagina a seconda della loro importanza. Impariamo che l’odalisca Fiorturchino compie una magia per far scendere la pioggia e così la coppia di eroi, morta solo temporaneamente, si rinfranca a bocca aperta verso il cielo. Per ricambiare Anselmo promette all’odalisca di portarle la supergemma del Gran Can, passata di proprietà al feroce Saladino (e sì, lo stile di Salbert assomiglia anche a quello di Angelo Bioletto)(3). L’artista è sempre più calato nell’opera, forse l’ha scritto lui veramente questo seguito. Il meglio di sé lo rivela nelle scene di battaglia: il cavallo del prode Anselmo si muove con foga rabbiosa, le prospettive degli scontri sono difficili e coinvolgenti, l’eroe si lancia contro sole verso i nemici dopo aver dopato il suo destriero con liquore all’anisetta. Nella foga della battaglia l’animale “Per nitrito emette un tuono/Che par tutti fulminar/Scalpitando in cupo suono/Ei si scaglia fra gli acciar”; ora questi versi sarebbero forse un po’ oscuri se l’autore non ce li spiegasse attraverso una relativa illustrazione in cui c’è la visualizzazione di un peto esplosivo emesso dal ronzino sopra alla distesa dei Saraceni schiacciati a terra. Potenza del disegno. Anche dai bulbi oculari del cavallo si sprigionano fulmini ma in questo caso la trasposizione è letterale: “Sprizzan gli occhi suoi scintille/Arde e crepita la coda/Le sue nari fan faville/Par che il fuoco tutto il roda!”. Battuto il Saladino e mantenuta la promessa con l’odalisca, Anselmo, che ha affrontato le imprese con la sua gestualità da commedia dell’arte, torna a casa in nave dimostrando di aver sconfitto anche il mal di mare, giunge sotto al castello dell’innamorata ancora una volta morto di sete e da lei rinfrancato con il provvidenziale liquore all’anisetta sotto lo sguardo perplesso del destriero (che ben ne conosce gli effetti…).
Tutto è bene quel che finisce bene ma resta il mistero di un autore la cui firma sa tanto di pseudonimo. Oltre ai disegnatori già citati ce ne è un altro compatibile con lo stile di questi due albi. E’ Rino Albertarelli (Cesena 1908 – Milano 1974), autore del celebre Dottor Faust sceneggiato da Federico Pedrocchi, nonché di tanti fumetti western. Solitamente si firmava “Albert” ed in realtà si chiamava Sante. E’ verosimile che si tratti di lui: le copertine per i romanzi salgariani e quelle per Il canzoniere della radio, risalenti alla metà degli anni Quaranta, sono firmate in corsivo (non con il classico ALBERT con le lettere distanziate) con calligrafia simile a quella usata per le firme sulle tavole del prode Anselmo. Albertarelli, considerato uno dei padri del fumetto italiano, è stato anche un bravo illustratore animalista e non sorprenderebbe se avesse collaborato con il medesimo editore Cicogna anche per le figurine, molto più diffuse dei due libri dedicati al Crociato, figurine relative agli animali ed alle tematiche del vecchio West di cui Albertarelli era appassionato.
La partenza del Crociato, Giovanni Visconti Venosta, illustrato da Salbert con 18 tavole a colori, cartonato in formato quadrotto, Edizioni Cicogna, s.d. (1945 circa).
Il ritorno del Crociato, scritto ed illustrato da Salbert con tavole a colori, cartonato in formato quadrotto con dorso telato, Edizioni Cicogna, s.d. (1945 circa).
Note:
(1) Molto si è discusso sulla popolarità del componimento e sulle sue fioriture alternative, affiancandone sorte ed evoluzione a quella che subì la poesia per bambini La farfalletta divenendo celeberrima come La vispa Teresa e cambiando decisamente destinazione. Tra le derivazioni apocrife ve ne è una molto gustosa di Umberto Eco, il quale sovrappone la figura del Crociato Anselmo a quella del filosofo Sant’Anselmo d’Aosta.
(2) Libico Maraja fu il direttore artistico de La Rosa di Bagdad, primo lungometraggio animato italiano, uscito nel 1949 ma iniziato già nel 1941, nonché colui che ne realizzò gran parte delle scenografie. Nonostante sia evidente l’ispirazione a Biancaneve ed i sette nani di Walt Disney riuscì ad infondere originalità nella descrizione di un oriente attrattivo e pieno di mistero.
(3) Su Angelo Bioletto e sul Feroce Saladino si veda l’articolo Angelo Bioletto ed i quattro moschettieri nella sezione “Grammatura leggera” di questo stesso sito.
01. Paolo Forni
Ottimo lavoro di ricerca ed esposizione e complimenti per aver riportato alla luce un ennesimo lavoro del grande Albertarelli.
02. Giorgio Perlini
Grazie Paolo, è sempre un piacere sapere che qualcuno apprezza!