William Mortensen

Monsters and Madonnas: le fotografie scattate dall’ Anticristo

di Giorgio Perlini

La rappresentazione del brutto gode della fama di essere operazione attraente per l’artefice e ancor di più per lo spettatore: non è semplice curiosità, piuttosto vibrazione di corde di violino dell’inconscio. E il tema del brutto diventa proprio irresistibile quando lo si affianca alla bellezza. Scaturisce così la magnetizzazione degli opposti. Può capitare anche che brutto e bello, passando dalla categoria estetica a quella morale, si sovrappongano a cattivo e buono, fino a giungere al culmine del diavolo e Maria. La coppia diventa oltraggiosa, quasi perversa, si sprofonda in un’aura di maledettismo. Il fotografo americano William Mortensen (1897 – 1965), la cui opera più ricercata è una raccolta di fotografie intitolata appunto Monsters and Madonnas (con tanto di bizzarrìa nella pluralizzazione inglese di un vocabolo in italiano antico) (1), venne considerato giustappunto un demone, anzi l’Anticristo della fotografia in persona. L’appellativo glielo affibbiò nientemeno che Ansel Adams, uno dei fotografi più osannati della Storia del mezzo espressivo. Già famosissimo all’epoca dei fatti nulla porta a pensare che Adams agisse per invidia; non era neanche bigottismo, si trattava proprio di disprezzo per quella che potremmo definire “poetica” di Mortensen. L’operato di quest’ultimo era troppo conforme all’estetica ricercata della fotografia costruita in studio piazzando le luci giuste sui modelli scelti ed opportunamente atteggiati, ritoccando poi il tutto tramite effetti in camera oscura e infine curando la stampa fino alla maniacalità. Un’estetica molto cinematografica, hollywoodiana sì, ma permeata di Germania espressionista. E la raffinatezza di queste composizioni deformate, Adams, fedele al credo del naturalismo, non poteva accettarla e forse neanche capirla.

L’equilibrio di Mortensen prevede che le sue immagini siano da un lato molto glamour, e dall’altro angoscianti. Disturbano perché trattano violenza, sesso, necromanzia. Risentono del cinema fantastico degli anni d’oro, citano King Kong di Cooper e Schoedsach, Frankenstein di Whale e Dracula di Browning. Del resto Mortensen nel 1928 aveva collaborato con lo stesso Browning al film West of Zanzibar attraverso la realizzazione di impressionanti maschere che vennero usate anche in studio di posa per ottenere fotografie oniriche. Per completare il quadro aggiungiamo che in quegli anni viveva una storia d’amore con Fay Wray, l’attrice principale di King Kong.

L’estetica di Mortensen però non risolve il dramma limitandosi a linee spezzate o tratti selvaggi e si arricchisce di esposizioni multiple, così ben adatte alla rappresentazione degli spettri e dei turbamenti interiori, avvicinandosi alle ricerche dei Futuristi e alla fotografia spiritica. Se da un lato questa tecnica sperimentale lo avvicina all’arte d’avanguardia dall’altro la cura della stampa con la ricerca dell’effetto nebbioso e morbidissimo lo fanno apparire come un epigono del fotopittorialismo. La componente artigianale nella produzione dell’immagine diviene fondante. Al punto che Monsters and Madonnas, all’apparenza una semplice collezione di foto pronte per essere staccate dalla spirale metallica che le unisce per poterle incorniciare ed appendere, può essere considerato un manuale con profonda dichiarazione di poetica dell’artigianalità. Ogni fotografia è corredata da un’intera pagina in cui sono riportati i dati tecnici, la riproduzione in piccole dimensioni dello scatto grezzo e soprattutto le dichiarazioni artistiche relative, le fonti di ispirazione, il confronto con dipinti e sculture del passato. Le tre sezioni in cui il libro è suddiviso si intitolano “Characters”, “Nudes” e “Grotesques”, e comprendono sei o sette fotografie ognuna. La dichiarata dialettica degli opposti sembra snodarsi tra le pitture nere di Goya e le Madonne di Raffaello, tra le icone del cinema horror e quelle della statuaria della Grecia classica. Certo per il pubblico del 1936 l’opera conteneva elementi decisamente sgradevoli: un uomo prigioniero aggredito dai topi e minacciato da un pendolo-lama, un volto nelle cui cavità oculari entrano due dita spingendosi fino alle nocche, un’eretica nuda in vincoli inchiodata allo strumento di tortura, un primo piano del demone Belphegor i cui occhi scintillano sotto al collodio d’un pesante make-up che lo rende lebbroso, un vampiro, trafitto dal paletto di frassino, dall’aspetto molto simile a Gesù deposto (e forse interpretato dallo stesso fotografo) (2). Mortensen giustifica tutto citando nelle spiegazioni di volta in volta la Storia, la religione, i compendi demonologici, le vite dei martiri cristiani, le leggende, la letteratura gotica e fantastica, Poe, Hugo, Bierce.

I mostri sono la minaccia delle macchine all’umanità e sta all’artista annientare tale minaccia servendosi delle macchine stesse a fin di bene, addomesticare la belva per ricavarne quanto di buono se ne possa ricavare. L’uomo deve dominare la tecnologia per non cadere nell’effetto Frankenstein. Ecco perché l’aspetto della manualità è così forte: lo scatto da solo non può essere conclusivo anche se progettato con cura, ha bisogno di venire modificato con un lungo processo elaborativo. La materia grezza del negativo diventando positivo deve trasformarsi in pastello, pennellata, incisione; in continuità con una tradizione artistica, soprattutto italiana, che è straordinaria e non può venire ignorata. La produzione seriale non può esistere, ogni foto è un pezzo unico di pari dignità alle opere del passato a cui è ispirata. I complessi trattamenti in fase di stampa sulla singola copia conferiscono a queste immagini una originalità superiore a quella ottenuta con altre tecniche di stampa artistica, come potrebbero essere la xilografia oppure la puntasecca: con tali mezzi infatti si lavora una matrice per ottenere poi delle stampe che, sebbene limitate nella quantità, risultano pressoché identiche tra loro. In Mortensen l’immagine fatta di luce si concretizza in marmo, bronzo, legno, stoffa, carne. Come se la carta fotografica conducesse ad immagini tattili. Recuperando quell’aura che secondo Walter Benjamin l’immagine stampata era destinata a perdere, Mortensen nobilita i suoi già elaborati scatti in molteplici modi. Per esempio facendone stampe al bromolio, un inchiostro grasso che l’artista stendeva tramite rotazione elettrica delle setole del pennello, fino ad ottenere un effetto pittorico. Oppure texturizzando manualmente la superficie dell’opera con un tratteggio di graffi leggeri e pluridirezionali. Sulla rivista Camera Craft e anche nel volume Print Finishing del 1938 viene mostrato come deve essere impugnata la lametta e in quale modo deve inclinarsi sul foglio per ottenere l’effetto voluto. Vennero anche commercializzati dei kit con tanto di logo “Mortensen” con sostanze e strumenti specifici per ogni elaborazione.

Dopo essere stato sulla scena per trent’anni, dopo aver formato numerosi allievi alla scuola californiana di Laguna Beach e dopo il successo raggiunto da certe immagini popolari (principalmente ritratti di dive del cinema muto e sonoro), Mortensen venne relegato come uno dei demoni delle sue fotografie, un demone passatista. Subito dopo la morte cadde nel dimenticatoio, condannato dai membri del gruppo f.64 (3) alla “damnatio memoriae” ma anche sopraffatto da quella tecnologia spersonalizzante ed in forte espansione a cui si opponeva. Solo da pochi anni qualche spot si è riacceso su di lui, forse in seguito al crescente interesse di molti giovani alternativi verso il recupero della fotografia analogica. Una corposa biografia è stata scritta (American Grotesque, in lingua inglese) e ogni tanto una copia della prima ricercata edizione del controverso Monsters and Madonnas riappare alla contesa tra i collezionisti per la gioia degli antiquari. Ma ciò che forse non è ancora stato compreso è che Monsters and Madonnas è un libro metaforicamente splendido oltre la raffinatezza delle figure, in quanto rivela ermeneuticamente l’arte della fotografia come una dea: è la luce, che sorge dalla summa di tutte le bellezze femminili ritratte, minacciate da un principio negativo ed oscuro incarnato nei mostri: il buio. Alla sola presenza di quest’ultimo l’arte fotografica non potrebbe esistere.

 

 

Monsters and Madonnas, a book of methods, William Mortensen, fotografie in bianco e nero stampate su pagine doppie di alta qualità, Camera Craft Publishing Company, 1936, brossura in quarto con rilegatura a spirale.  Seguono varie ristampe fino al 1946. Poi nel 1967 l’opera è rieditata con una nuova copertina a colori, rilegatura cartonata ed una selezione di opere non del tutto conforme all’originale.

Note:

(1) Con quel temine l’autore intendeva non tanto moltiplicare la madre del Redentore (sebbene anche il concetto di “Marie” sembrerebbe consono) quanto indicare le figure femminili angelizzate dell’arte dell’Umanesimo e del Rinascimento.

(2) Mortensen aveva da giovane un volto scavato e piuttosto spigoloso. In certe sue espressioni bizzarre si nota una somiglianza, probabilmente ricercata, con gli autoritratti provocatori del pittore austriaco Egon Schiele, esponente della Secessione viennese e capace di conferire drammaticità estrema a soggetti banali. Anche nel gesticolare scomposto e sincopato di alcuni modelli mascherati per le foto risalenti agli anni Venti Mortensen sembra ispirarsi a Schiele.

(3) Il Group f.64 fu un’associazione di fotografi, tra i quali emergevano Ansel Adams ed Edward Weston, convinta che esistesse un’unica strada da seguire per la purezza del mezzo, quella della cosiddetta “straight photography”, diretta, realistica, perfettamente a fuoco, senza manipolazione alcuna.




Commenti

  1. 01. Giorgio

    Queste fotografie mi ricordano alcuni dipinti, tra i quali:
    1. Il vampiro lebbroso: il particolare del bevitore ubriaco dal convito di Bacco di Velazquez;
    2. L’eretica: il peccato di Franz von Stuck;
    3. Il vampiro impalato: la deposizione di Mantegna (in chiave blasfema);
    4. Il prigioniero legato al suolo coi topi attorno richiama Il Pozzo e il Pendolo di Poe e di conseguenza le relative illustrazioni di Harry Clarke.
    Con i migliori saluti,
    Giorgio

  2. 02. Giorgio Perlini

    Caro Giorgio, vedo che sei ben ferrato. Non so se Mortensen conoscesse l’edizione illustrata di Poe da te citata ma il racconto a cui si ispira la fotografia è esattamente quello a cui tu fai riferimento. Era un grande appassionato di pittura e probabilmente si era imbattuto, dal vero o tramite pubblicazioni, in tutte le opere del tuo elenco. Il Mantegna quasi capovolto è un’intuizione notevole, non ci avevo pensato. Grazie!


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