Wolfango, apostolo agnostico

Gesù oggi, cioè 50 anni fa.

WolfangoCoverdi Giorgio Perlini

Avrei voluto scriverlo prima questo pezzo ma aspettavo di avere in mano il libro giusto, di solito non scrivo finché il pezzo non entra in collezione. E così ieri pomeriggio (17 Gennaio 2017) a Bologna in Palazzo D’Accursio, è stata allestita la camera ardente per Wolfango Poggi Peretti. Che cosa insolita per uno schivo come lui venire esposto nella sede Comunale. Eppure se non fossi stato impegnato con uno scrutinio sarei andato anche io a rendergli omaggio. Non sono mai riuscito ad incontrarlo di persona; nel mio periodo universitario, quando non sapevo niente di lui, ho incrociato le sue opere due volte, la prima in occasione dell’esposizione del suo straordinario presepio in terracotta nell’oratorio di San Sigismondo e Gaetano e la seconda in una mostra di dipinti nell’aula di Santa Lucia. Rimasi segnato entrambe le volte, non è un caso se per la mia prima mostra bolognese di pittura scelsi la stessa locazione di quel presepio. Quando qualche amico viene a trovarmi e mi chiede una visita delle meraviglie nascoste della città, tra le cose che gli mostro c’è un’opera quasi monumentale di Wolfango nascosta nel vestibolo di San Giovanni in Monte. E mi duole sempre ammettere che non l’ho scovata io quell’opera, appresi anni or sono della sua collocazione da un libro del professor Eugenio Riccomini. Tale collocazione pare studiata apposta a rovescio, e cioè per far sì che il dipinto non riceva l’illuminazione adeguata per poterlo contemplare. Nel buio quasi totale di quel corridoio bisogna aspettare l’adattamento degli occhi per riuscire a decifrare l’immagine: una cassetta di zinco contenente delle spoglie scomposte. L’opera, intitolata “Resurgo” è inserita ad hoc in una parete di lapidi e sepolture murali ma le sue misure superano i cinque metri di lunghezza trasportando l’ignoto defunto in un contesto eroico-mitologico. Nel continuare a guardarla si individua una ruvidità pittorica che riproduce la porosità ossea e lo sfaldamento causato dal trascorrere del tempo. Si rimane sospesi nel dubbio se il finale della storia sia quello del titolo oppure quello dell’immagine. E nell’abisso di meditazioni che scaturiscono al cospetto di quel capolavoro dimesso sgorga anche il pensiero che non esiste modo più vero di essere vicini a coloro non ci sono più dell’amare ciò che essi hanno lasciato. Guarda caso giusto una settimana prima della dipartita dell’artista ho acquistato un libro del 1966 illustrato da lui, il più bello tra i suoi, intitolato Gesù Oggi. Certo, l’opera rivaleggia con un altrettanto introvabile Pinocchio, che però, a causa della gestazione troppo lunga, è caratterizzato da un eclettismo (sulla scia della versione più celebre in assoluto del capolavoro collodiano, quella dipinta da Attilio Mussino) che lo rende più sperimentale che compiuto. Da tempo attendevo di trovare il libro ad una cifra ragionevole ma l’unica copia disponibile risultava in vendita a 250 Euro ( negli Stati Uniti! ). Poi ho individuato in patria ciò che cercavo, contrattato, e con 30 Euro mi sono portato a casa il volume.

Dunque, siamo un anno dopo la mia nascita, l’epoca è quella del governo della Democrazia Cristiana e del forte controllo censorio che impone sforbiciate in campo cinematografico ed un certo mutismo canoro; le reti televisive sono solo le due nazionali, fortemente controllate anche esse; per quanto riguarda la stampa ci sono ancora libri che vengono messi al bando, e le case editrici di fumetti si auto censurarono almeno fino al 1967 per evitare il sequestro degli albi. L’editore Rizzoli manda alla stampe un libro di religione destinato a tutti, ma sopratutto rivolto ai ragazzi. Sfogliando il testo nessuno oggi noterebbe niente di poco ortodosso eppure ecco alcune frasi estrapolate, a partire dall’imprimatur: La presente opera è stata sottoposta all’esame del Censore Ecclesiastico presso la Curia Arcivescovile di Milano, e vi sono state apportate le modifiche dallo Stesso richieste. 28 ottobre 1965”. Poi dall’introduzione: “Le illustrazioni di questo libro sono inconsuete e possono quindi destare stupore (…). L’illustratore non solo non ha evitato nessun aspetto moderno, ma sembra che abbia cercato i più caratteristici, drammatici e stridenti. Ciò può turbare da principio più d’uno; e vanno quindi spiegati subito i motivi che hanno indotto l’editore, un editore tanto rispettoso del mondo della religione (pubblicò la “Vita di Cristo” dell’abate Ricciotti e ora pubblica la “Storia delle religioni”), a dare a una vita di Gesù scritta per fanciulli e per le loro famiglie una veste così insolita e, apparentemente, così audace (…)”. Proseguo con alcuni commenti alle immagini: “La prima illustrazione può sembrare cruda (…). L’ultima cena: niente stupore se somiglia ad una mensa operaia (…). Il verismo di questa scena è troppo forte? Si pensi che l’Eucarestia stessa parve troppo forte anche agli apostoli (…). Non vogliamo togliere il sonno dell’innocenza ai fanciulli con particolari di cui purtroppo la recente storia d’Europa abbonda (…)”. Né c’è nulla di irriverente in questa trasposizione realistica. Tutt’altro (…)”. Quest’ultima dichiarazione è un estratto dalla quarta di copertina.

Insomma, non basta la rassicurazione dell’imprimatur ecclesiastico, c’è un continuo bisogno di giustificazioni a ribadire la serietà e l’autorevolezza dell’operazione. Ma qual’era questa operazione così delicata? Lo scrittore giornalista Emilio Radius scriveva un testo sulla storia e sull’insegnamento di Gesù puntando sull’attualità della figura carismatica e sulla validità perenne del suo insegnamento. Aveva bisogno di un contrappunto visivo che non fosse agiografico né riempitivo. Venne individuato un illustratore versatile e profondo, che capì pienamente il senso del lavoro. Come cadde la scelta su di lui è difficile immaginarlo, Wolfango all’epoca aveva illustrato quasi esclusivamente favole e lo stile non era quello giusto; forse fu la visibile capacità dell’artista di dipingere adattando le forme ai testi. Resta il fatto che Wolfango era agnostico, eppure lasciò un’interpretazione decisamente sacrale del tema affrontato. Elaborò uno stile realistico e materico, ruvidamente raffinato, con i colori a tempera stesi sulla carta tramite spatola per cercare degli spessori sui quali graffiare, sbucciare, scendere nella profondità della carne fino a scovare l’anima. Ed in modo onesto volle restare nascosto, figurando come “anonimo bolognese” in copertina e firmando “golpe” (associando il suo patronimico lupesco a “La golpe et il lione” nel Principe di Machiavelli) le tavole a colori. Questa mancanza di autocelebrazione venne forse contrastata quando il libro vinse la prima edizione del Bologna Award Ragazzi, ma la gloria non era sicuramente ciò di cui l’artista era in cerca, ed anche premiato Wolfango scelse di rimanere ai margini, difficilmente inquadrabile e mai sotto i riflettori. La condanna del culto dell’apparenza è proprio un punto di forza di queste sue illustrazioni, dove compaiono televisori accesi e palazzi coperti di manifesti a distrarre dai valori forti della vita. Il boom economico grida a squarciagola, la predica di Giovanni Battista deve riuscire ad aprirsi un varco in mezzo a quel fragore. Così ecco che il realismo di Wolfango si contamina con la Pop-art, le pubblicità murali si sovrappongono e si strappano come nei quadri di Mimmo Rotella, e modelle e bottiglie di bibite si accoppiano nel credo warholiano. Con la differenza però di un uso critico del mezzo, che dichiara tutta la tristezza della contaminazione. Perché se quella è la modernità – almeno per l’epoca – tutte le tavole dichiarano l’amore per i grandi maestri: Caravaggio (più volte, specie nelle immagini con Cristo torturato in un bunker sotterraneo), Mantegna (la resurrezione di Lazzaro cita il famosissimo Cristo morto), Bernini (nel monumento funebre che sovrasta Gesù condotto al Sinedrio), Kandinskij (nel quadro con l’angelo portato dai pastori in adorazione) e perfino Tullio Crali (la tavola con le tentazioni in cui Gesù, chiuso in una bolla come una carlinga d’aeroplano, sembra precipitare nel cuore d’una metropoli). C’è anche una coloratissima vetrata di cattedrale gotica che fa da sfondo animato alla scena dell’apparizione di Gesù ai discepoli addormentati. Ma il passato “classico” si mischia con la grafica di Grosz, con l’informale di Fautrier, col cinema aspro di Pasolini, come suggeriscono le peccatrici che, perduta ogni fascinazione decadentista da vocazione passionale, sono costrette dalla miseria ad una routine svolta con sciatteria popolana, alla Renzo Vespignani. E forse Wolfango era anche incofessabilmente attratto da certe manifestazioni artistiche che giusto a metà degli anni Sessanta scuotevano il pubblico per il loro estremismo; non so se sia un caso ma nell’illustrazione con la decollazione del Battista tutti i personaggi, compresa Salomè, sono coperti da un telo bianco schizzato di rosso che ai più evoca una sindone, ma agli occhi di un conoscitore d’arte non passa inosservata una attinenza con i lenzuoli imbrattati di sangue di Hermann Nitsch, fondatore dell’Azionismo viennese. Insomma tutta la storia delle arti visive, rielaborata con gusto contemporaneo, viene condensata in quei lavori, lasciando emergere una tendenza o un personaggio a seconda dell’occasione. Però Wolfango non vuole rinunciare alla bella pittura, alla prassi dell’artista artigiano che quand’anche compia un’operazione concettuale la esprime attraverso la solidità d’un percorso tecnico e d’uno stile figurativo. Nella mischia compaiono figure di carcerati-carcerieri con divise da scheletri, membri del Sinedrio come confratelli del Ku Klux Klan, soldati nazisti in sostituzione di quelli romani, grattacieli nello skyline di Gerusalemme, le vittime dei campi di sterminio, l’ipocrisia borghese incravattata. Qualche singolo riscatta la massa, come lo scienziato credente Enrico Fermi, circondato da testi di filosofia e raffigurato nei panni di Tommaso apostolo, emblema di una scienza che si intreccia con la religione. Sì, in questo libro si rende esplicito l’attraversamento della Storia da parte di Gesù ed il bisogno, in ogni periodo, della sua presenza in mezzo agli uomini. Un volume raro dunque anche nell’originalità dell’impostazione. Una simile bellezza verrà ritrovata solo all’inizio degli anni Ottanta con l’uscita di Gesù scritto da Roberto Brunelli e dipinto da Ferenc Pinter. Bello, sì, ma decisamente meno potente.

Emilio Radius, Gesù Oggi – 20 tavole e 40 disegni di anonimo bolognese, ( Wolfango Poggi Peretti ), Rizzoli, 1966, in quarto grande, cartonato con sovraccoperta in acetato trasparente.




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